L’uso in riduzione dopo l’apertura della procedura viola le regole concorsuali
di Giulio Andreani e Angelo Tubelli
Anche l’agenzia delle Entrate ha da tempo tenuto a evidenziare come «non possa operare la compensazione fra crediti o debiti verso il fallito e, rispettivamente, fra debiti o crediti verso la massa fallimentare», poiché le «posizioni del rapporto debitorio e del rapporto creditorio sono relative a soggetti diversi (fallito e massa fallimentare) e a momenti diversi rispetto alla dichiarazione di fallimento, con conseguente illegittimità della eventuale compensazione, fatta eccezione per l’ipotesi in cui gli importi in questione derivino, per effetto del trascinamento, nella procedura concorsuale, dall’attività del fallito precedente all’apertura della procedura stessa». Infatti, il credito Iva emergente dalla dichiarazione finale discendente dalla cessazione dell’attività «è un credito destinato alla massa fallimentare cui l’amministrazione partecipa per la propria quota» (risoluzione n. 279/E del 12 agosto 2002 e circolare n. 13/E dell’11 marzo 2011).
In effetti, essendo pacifico che l’attivo fallimentare deve essere ripartito fra i creditori dell’impresa debitrice secondo le regole del concorso, deve risultare altrettanto pacifico ricomprendere nel suddetto attivo anche il credito Iva maturato dall’impresa alla data di apertura della procedura concorsuale, per l’ammontare che eventualmente residui dopo la compensazione eccepita dall’amministrazione finanziaria ai sensi dell’articolo 155 del Codice della crisi con riguardo ai propri crediti.
Pertanto, a titolo esemplificativo, se fosse pari a 200mila euro il credito Iva dell’impresa in liquidazione giudiziale risultante dalla dichiarazione prevista dall’articolo 74-bis del Dpr 633/1972 e pari a 300mila euro l’ammontare dei crediti maturati dall’Erario nei confronti dell’impresa stessa alla data di apertura della procedura concorsuale, a seguito della compensazione non residuerebbe alcun credito Iva “da monetizzare” per l’attribuzione ai creditori concorsuali.
Nel caso opposto in cui sia in invece pari a 300mila euro il credito Iva dell’impresa in liquidazione giudiziale e pari a 200mila euro l’ammontare dei crediti maturati dall’Erario nei confronti dell’impresa stessa, dopo la compensazione dell’attivo della procedura concorsuale farebbe parte il residuo credito Iva di 100mila euro ed esso dovrebbe essere destinato ai creditori dell’impresa debitrice attraverso i riparti previsti dalle norme che disciplinano la liquidazione giudiziale, nel rispetto delle regole del concorso.
Tuttavia, sotto il profilo oggettivo, nessuna violazione delle regole del concorso potrebbe derivare dall’utilizzo del credito Iva sorto anteriormente all’inizio della procedura, per la parte dello stesso che eccede i debiti tributari coevi, ai fini del pagamento dei crediti fiscali legittimamente sorti nel corso della liquidazione giudiziale e in quanto tali prededucibili. Ne discende quindi, sul piano oggettivo, la legittimità della compensazione sostenuta dall’Aidc. Questa compensazione contrasta però con l’indirizzo assunto dai giudici di legittimità nonché dall’agenzia delle Entrate circa la “discontinuità soggettiva” determinata dall’apertura della liquidazione giudiziale.
Il quadro
La questione
La questione riguarda l’utilizzo del credito Iva maturato dall’impresa fallita nel periodo anteriore alla liquidazione giudiziale con debiti sorti verso l’Erario successivamente all’apertura della procedura.
Il divieto
Secondo l’agenzia delle Entrate la compensazione fra crediti o debiti verso il fallito e, fra debiti o crediti verso la massa fallimentare», non è possibile perché le posizioni del rapporto debitorio e del rapporto creditorio sono relative a soggetti e a momenti diversi. Anche per la Cassazione (sentenza 7512/2025) il curatore fallimentare non può compensare il credito Iva maturato prima dell’apertura della procedura con i debiti sorti durante la procedura.
23 Giugno 2025