Alla crisi non corrisponde la sussistenza del «periculum in mora»
di Giulio Andreani
La pendenza di una procedura di composizione della crisi non è sufficiente per giustificare il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di cui all’articolo 321, comma 2, del Codice di procedura penale, connessa a reati tributari. Lo ha affermato la Corte di cassazione, terza sezione penale, con la sentenza 30109/25, depositata il 2 settembre, rigettando il ricorso con cui il Procuratore della Repubblica europeo aveva impugnato l’ordinanza con la quale il Tribunale di Modena aveva accolto l’istanza di riesame proposta da una persona fisica e da una società avverso il provvedimento con cui il Gip aveva disposto il sequestro preventivo di una rilevante somma, quale profitto del reato di utilizzo di fatture per operazioni inesistenti di cui all’articolo 2 del Dlgs 74/2000, con rilievo anche nei confronti della società utilizzatrice di tali documenti ai sensi del Dlgs 231/2001.
Con l’ordinanza impugnata il Tribunale di Modena aveva escluso la sussistenza del periculum in mora, cioè del pericolo di dispersione dei beni nelle more del giudizio, necessario ai fini del sequestro, valorizzando questi fattori:
1) la circostanza che la società avesse fatto ricorso a una procedura di composizione della crisi;
2) il fatto che gli organi giudiziali di tale procedura avessero assicurato che non vi era dispersione di risorse e la procedura permetteva di conservare il valore dell’azienda, che si sarebbe alternativamente ridotto;
3) il parere dell’esperto nominato dal tribunale della crisi, il quale, dopo aver esaminato la situazione patrimoniale e l’andamento economico della società, aveva rilevato che la prosecuzione dell’attività stava producendo un discreto margine operativo e un risultato netto positivo;
4) la circostanza, infine, che nel corso del tempo la consistenza patrimoniale della persona fisica indagata e della società era rimasta inalterata e che nessun atto sottrattivo o dispersivo era stato posto in essere.
La Suprema Corte ha ritenuto questa motivazione non apparente, ribadendo che il provvedimento di sequestro deve dare motivatamente conto delle ragioni per le quali i beni oggetto dello stesso potrebbero, nelle more del giudizio, essere modificati, dispersi, deteriorati, utilizzati o alienati, e quindi del fatto che la definizione del giudizio non possa essere attesa, poiché, diversamente, la confisca rischierebbe di divenire impraticabile. L’ordinanza del Tribunale di Modena aveva adeguatamente escluso tali rischi e non era quindi censurabile.
Sarebbe bene che il principio affermato, secondo cui alla situazione di crisi del contribuente non corrisponde necessariamente la sussistenza di un periculum in mora, trovasse applicazione anche ai fini della iscrizione delle imposte, specialmente di quelle non definitive, nei ruoli straordinari ai sensi dell’articolo 11 del Dpr 602/1973, che troppo spesso avviene semplicemente assumendo che una procedura di risanamento costituisca di per sé fondato pericolo per la riscossione dei tributi.
02 Settembre 2025