Al concordato semplificato liquidatorio non si applica il regime invece previsto per il concordato
preventivo e fallimentare

di Giulio Andreani 

Le sopravvenienze attive da esdebitazione realizzate nel concordato semplificato liquidatorio di cui all’articolo 25-sexies del Codice della crisi sono tassabili, non essendo a esse applicabile il comma 4-ter dell’articolo 88 Tuir, che ne dispone la detassazione in caso di concordato preventivo e fallimentare. Lo ha affermato l’agenzia delle Entrate con la risposta a interpello 179/2025 pubblicata il 7 luglio, che rischia di minare irrimediabilmente tale procedura, rendendola di fatto inattuabile.
Vediamo perché. Da tale pronuncia discende che, quando per effetto della omologazione del concordato semplificato i debiti dell’impresa debitrice vengono ridotti, ad esempio, da 100 a 20, la riduzione di 80 concorre a formare il reddito imponibile dell’impresa che ne beneficia. Pertanto, in assenza di perdite fiscali pregresse e di componenti negativi tali da neutralizzare l’importo delle sopravvenienze, il reddito scaturente dall’esdebitazione è generalmente tale da comportare un’imposizione che rende il concordato semplificato meno conveniente della liquidazione giudiziale.
Il fatto è che, a norma dell’articolo 25-sexies, comma 5, del Codice della crisi, il concordato semplificato può essere omologato solo se non arreca pregiudizio ai creditori rispetto all’alternativa della liquidazione giudiziale e in quest’ultima procedura le imposte sui redditi non sono normalmente dovute, salvo il rarissimo caso in cui tutti i creditori vengano integralmente pagati e alla chiusura della liquidazione residui in capo all’impresa fallita un attivo. Significa quindi che, a fronte del medesimo patrimonio dell’impresa debitrice il concordato semplificato è matematicamente meno
conveniente per i creditori della liquidazione giudiziale, poiché una parte di quel patrimonio deve essere destinato all’Erario per pagare imposte relative alle sopravvenienze che non si renderebbero invece dovute in caso di liquidazione giudiziale. Significa, conseguentemente, che, essendo pregiudizievole, cioè meno conveniente, per i creditori rispetto a quest’ultima procedura, il concordato semplificato non può essere omologato.
L’interpretazione delle Entrate non è tuttavia condivisibile.
Essa, infatti, deriva, in parte, dal presupposto che la norma da cui la detassazione delle sopravvenienze è prevista, cioè l’articolo 88 del Tuir, menziona solo il concordato preventivo e non quello semplificato e quindi, poiché si tratterebbe di una norma speciale, non potrebbe essere estesa a quest’ultimo istituto. In realtà tale disposizione, laddove prevede la detassazione delle sopravvenienze realizzate nelle procedure liquidatorie, quale necessariamente è il concordato semplificato, non è affatto speciale, perché esprime una regola discendente dai principi generali dell’imposizione sui redditi, in base ai quali non può essere tassato un reddito che non è posseduto dal contribuente, e non c’è dubbio che non possiede alcun reddito l’impresa che, per effetto di un concordato liquidatorio, subisce uno spossessamento integrale e destina tutto ciò che ha ai suoi creditori. Si tratta dunque di una norma (avente natura di esclusione e non di esenzione) la quale può essere applicata anche a procedure che, pur non essendo da essa espressamente richiamate, generano i medesimi effetti di quelle espressamente menzionate. E che gli effetti sostanziali generati dal concordato semplificato liquidatorio siano corrispondenti a quelli del concordato preventivo liquidatorio non può essere revocato in dubbio.
L’interpretazione delle Entrate si fonda, inoltre, sulla considerazione che con la legge per la revisione del sistema tributario (legge 111/2023) il legislatore ha delegato il Governo a estendere la detassazione delle sopravvenienze a tutti gli istituti previsti dal Codice della crisi e ciò confermerebbe che allo stato tale detassazione è prevista solo per le procedure menzionate dal citato articolo 88. In realtà questa considerazione può avere un senso per gli istituti non liquidatori, per i quali detta norma prevede un’esenzione che non può essere applicata a casi diversi da quelli per cui è stabilita, ma non ne ha alcuno per quelli liquidatori, poiché non vi è bisogno di nuove norme per escludere da tassazione le sopravvenienze da esdebitazione conseguite nell’ambito delle procedure che hanno tale natura.
Bastano i principi generali.
07 Luglio 2025