Qualifica di consumatore se il contratto di garanzia per finalità estranee a un’attività d’impresa
Giulio Andreani
Il fideiussore può essere considerato “consumatore”, e può quindi avvalersi dell’istituto della ristrutturazione dei debiti disciplinato dagli articoli 67-73 del Codice della crisi, solo se ha stipulato il contratto di garanzia nell’ambito della propria sfera privata, per finalità estranee a un’attività d’impresa o professionale, nel senso che la fideiussione rilasciata non deve costituire atto espressivo di tale attività, né essere strettamente funzionale al suo svolgimento. È quanto emerge dalla sentenza n. 29746/2025 depositata l’11 novembre, con cui la Corte di cassazione ha escluso che possa essere qualificata come consumatore una persona che aveva rilasciato fideiussioni nell’interesse della società di cui era stata amministratore ed era ancora socia e che aveva poi chiesto l’ammissione alla suddetta procedura da sovraindebitamento per ristrutturare i propri debiti.
È irrilevante la differenza tra la definizione di consumatore fornita dal Codice della crisi e quella prevista dalla previgente legge 3/2012, poiché la lettera della norma che definisce il consumatore nel Codice (articolo 2, comma 1, lettera e) è solo minimamente cambiata rispetto all’analoga disposizione contenuta nell’articolo 6, comma 2, lettera b) della legge 3/2012. Quest’ultima ravvisava nel consumatore «la persona fisica che ha assunto obbligazioni esclusivamente per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta», mentre il Codice della crisi ridefinisce la nozione come «la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigiana o professionale eventualmente svolta, anche se socia di una delle società appartenenti a uno dei tipi regolati nei capi III, IV e VI del titolo V del libro quinto del codice civile». In altri termini, il fatto che una persona fisica sia socia di una società commerciale è irrilevante ai fini della qualifica di consumatore; ciò che conta è la strumentalità o la connessione dell’atto generatore del debito rispetto a un’attività professionale o imprenditoriale.
In base a questi principi, se il contratto di fideiussione è concluso da un congiunto in favore dell’impresa di famiglia, sono da escludere i requisiti soggettivi che connotano il consumatore, in considerazione dell’interessamento all’attività sociale derivante dal rapporto familiare, a prescindere dall’entità della partecipazione al capitale sociale e dall’eventuale assunzione di cariche gestionali (Cassazione n. 23533/2024). È inoltre da escludere la qualità di consumatore in capo al fideiussore detentore di una quota di maggioranza della società garantita, anche se non amministratore, in assenza di prove idonee a escludere il collegamento tra la fideiussione e lo svolgimento dell’attività professionale (Cassazione n. 32225/2018). Analogamente, il rilascio di una fideiussione costituisce un vero e proprio atto strumentale all’attività aziendale quando il garante è coinvolto nell’effettiva gestione dell’impresa (Cassazione n. 429/2023).
In conclusione, il consumatore è colui che agisce per scopi estranei a un’attività imprenditoriale, commerciale, artigiana o professionale. Tuttavia, la circostanza che l’attività sia esercitata da altri non è sufficiente per qualificare come consumatore il soggetto che assume un debito correlato a essa. La prestazione di una garanzia che rafforza l’esercizio di un’impresa (altrui) e rivela un interesse che va oltre un semplice sostegno esterno crea un collegamento funzionale rispetto a quella attività e comporta il superamento dello status di consumatore.
11 Novembre 2025




