di Giulio Andreani

È legge la limitazione della omologazione forzosa della transazione fiscale e contributiva nell’ambito dell’accordo di ristrutturazione dei debiti (anticipata da questo quotidiano con articoli del 4 agosto e del 26 luglio).

Pertanto, la transazione potrà d’ora in poi essere omologata dal tribunale, in mancanza di adesione del Fisco e degli enti previdenziali, solo quando – oltre a essere, come in precedenza, conveniente per i creditori pubblici rispetto all’alternativa della liquidazione giudiziale e determinante ai fini del raggiungimento delle percentuali del 60 o del 30% dei crediti oggetto dell’accordo – il piano di risanamento non ha natura liquidatoria e il soddisfacimento dei crediti tributari e contributivi è pari almeno:

1. al 30% del loro ammontare, comprensivo di sanzioni e interessi, se il credito complessivo di cui sono titolari altri creditori aderenti all’accordo corrisponde ad almeno un quarto dell’intero importo dei debiti dell’impresa istante;

2. al 40% del loro ammontare, comprensivo di sanzioni e interessi, ed è prevista una dilazione di pagamento non superiore a dieci anni, se il credito complessivo di cui sono titolari altri creditori aderenti è inferiore a un quarto dell’intero importo dei debiti dell’impresa istante oppure se non vi è alcun altro creditore aderente all’accordo.

La ratio della norma

La disposizione nasce come reazione alla omologazione forzosa di transazioni fiscali che prevedevano soddisfacimenti irrisori dei crediti tributari, attuate per di più nell’ambito di accordi sostanzialmente rivolti solo al Fisco e che, anche per questi motivi, erano state rigettate dall’agenzia delle Entrate.

Omologazioni legittime alla luce delle norme all’epoca vigenti, in quanto relative a proposte formalmente convenienti per l’Erario, perché tale è anche una proposta con cui viene offerto un pagamento di pochi punti percentuali, se l’alternativa è peggiore; contrastate tuttavia da pronunce opposte di altri giudici (i Tribunali di Salerno, Lecce, Firenze, Monza e la Corte di appello di Milano), i quali avevano ritenuto, come l’agenzia delle Entrate, che simili proposte di transazione rappresentassero un abuso dell’istituto.

La nuova norma non costituisce dunque un’improvvisata iniziativa del legislatore, come qualcuno ha ritenuto, ma, al contrario, l’approdo di un dibattito e di un contrasto in corso da tempo.

Il principio della convenienza

Non vi è dubbio che il principio-cardine della transazione fiscale è quello della convenienza della proposta rispetto all’alternativa liquidatoria.

Tuttavia, il fatto è che una proposta di transazione può risultare conveniente per l’Erario in un certo momento anche solo perché, con una condotta censurabile, le risorse aziendali sono state precedentemente destinate al soddisfacimento di altri crediti, anche di rango inferiore, riducendo il residuo attivo attribuibile al Fisco in caso di liquidazione giudiziale.

Il legislatore avrebbe potuto contrastare simili comportamenti introducendo una norma antiabusiva di carattere generale, che tuttavia avrebbe originato incertezze applicative e trattamenti non omogenei; da qui, evidentemente, la decisione di ripiegare sulla previsione di due soglie forfettarie, che è meno apprezzabile sul piano concettuale, ma più pratica.

L’introduzione delle soglie, ferma restando la necessità della convenienza e del carattere determinante dell’adesione, esclude infatti sia l’esigenza di analisi complesse e opinabili sia la rilevanza di altri fattori.

Il cram down

Solo il cram down assicura al contribuente-debitore una reale tutela giurisdizionale contro illegittime resistenze dell’Amministrazione finanziaria e quindi la sua limitazione deve essere adeguatamente giustificata.

Per questo motivo, da un lato, sarebbe opportuno che le soglie venissero ridotte e, dall’altro, che l’esclusione del cram down trovasse applicazione solo a seguito di un rigetto ben motivato della proposta di transazione, e non anche per effetto della mera inerzia del Fisco.

La data di efficacia

La norma è applicabile alle proposte presentate all’agenzia delle Entrate e agli enti previdenziali dal 13 giugno 2023.

È irrilevante, quindi, rispetto a quelle depositate prima di questa data, anche se il procedimento di omologazione forzosa è tuttora pendente.

L’alternativa del concordato

La nuova disposizione trova applicazione solo con riguardo agli accordi di ristrutturazione dei debiti e non tocca pertanto la disciplina del cram down fiscale nel concordato preventivo.

Non ne deriva, tuttavia, come qualcuno ha commentato, una sorta di disparità di trattamento fra i due istituti: sia perché si tratta di strumenti fondati su principi differenti, giacché uno coinvolge tutti i creditori e vede l’applicazione del principio maggioritario, mentre l’altro può essere rivolto anche a pochi creditori ed è efficace esclusivamente per chi vi aderisce; sia perché nel concordato in continuità è ancora tutto da vedere se il cram down fiscale è di per sé consentito.

25 agosto 2023