Da superare la circolare 2021 che limita la deroga a concordato e liquidazione. L’iscrizione a debito della nota di variazione rende più difficile il risanamento
di Giulio Andreani
L’articolo 26 del Dpr 633/1972 continua a far discutere in relazione alle norme che disciplinano l’emissione delle note di variazione Iva nei confronti delle imprese che hanno avuto accesso a una procedura concorsuale. Almeno fino a quando il legislatore non farà chiarezza con il decreto delegato sulla fiscalità della crisi che dovrà essere emanato in attuazione della legge delega per la revisione del sistema tributario (Legge 111/2023).
I commi 3-bis e 10-bis consentono al creditore di recuperare l’Iva applicata e non riscossa a seguito:
•dell’assoggettamento del debitore a liquidazione giudiziale, liquidazione coatta amministrativa o amministrazione straordinaria;
•dell’ammissione del debitore alla procedura di concordato preventivo;
• dell’omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti proposto dal debitore;
• della pubblicazione nel registro delle imprese del piano attestato di risanamento del debitore.
La registrazione dell’Iva
Il secondo periodo del comma 5 dell’articolo 26 del Dpr 633/1972 prevede la possibilità, per l’impresa debitrice, di derogare alla regola generale secondo cui il cessionario dei beni o il committente dei servizi, a seguito del ricevimento della nota di variazione emessa nei suoi confronti dal creditore, deve specularmente registrare a debito l’Iva recuperata da quest’ultimo, facendola concorrere alla liquidazione dell’imposta che deve versare all’Erario. Tuttavia, tale deroga – così dispone il suddetto comma 5 – si applica solo «nel caso di procedure concorsuali di cui al comma 3- bis, lettera a)», e secondo l’agenzia delle Entrate (circolare 20/E/2021) essa opera unicamente nel caso di assoggettamento del debitore a fallimento (ora liquidazione giudiziale), liquidazione coatta amministrativa, concordato preventivo (liquidatorio o con continuità aziendale) e amministrazione straordinaria. Secondo il Fisco, tale esonero non riguarda, invece, gli accordi di ristrutturazione dei debiti, poiché si tratterebbe di istituti non «qualificabili come procedure concorsuali in senso stretto, in quanto mancano sia del carattere della concorsualità, sia di quello dell’ufficialità».
L’applicazione della deroga
Le motivazioni dell’Agenzia non sono tuttavia convincenti. Infatti, gli accordi di ristrutturazione dei debiti, alla luce dell’ormai consolidato orientamento della Corte di Cassazione sono da considerare procedure concorsuali, in considerazione del fatto che la relativa disciplina presuppone «forme di controllo e pubblicità sulla composizione negoziata, ed effetti protettivi, coerenti con le caratteristiche dei procedimenti concorsuali». Anche per quanto attiene alla ufficialità, dovendo l’accordo di ristrutturazione dei debiti essere, prima, pubblicato nel registro delle imprese e, poi, omologato dal competente tribunale, non vi è dubbio che questo istituto è munito dell’ufficialità a cui ha fatto riferimento l’agenzia delle Entrate. Dunque, i motivi su cui è stata fondata la tesi negativa sostenuta da quest’ultima, «mancanza di concorsualità» e di «ufficialità», sono da ritenersi con riguardo all’accordo di ristrutturazione entrambi privi di consistenza ai fini di cui trattasi.
05 Maggio 2025