di Giulio Andreani

I crediti dell’erario sorti prima dell’apertura di una procedura concorsuale non sono compensabili con i crediti verso l’erario sorti durante la procedura. Lo ha precisato l’agenzia delle Entrate con la risposta a interpello 302/2021, avente a oggetto la compensazione dei crediti maturati durante una procedura di liquidazione coatta amministrativa, i cui principi trovano peraltro applicazione anche con riguardo al fallimento, in considerazione del fatto che le due procedure sono disciplinate dalle medesime norme fiscali.

Il principio di diritto affermato è il seguente: non è consentita la compensazione fra crediti o debiti verso il fallito e, rispettivamente, fra debiti o crediti verso la massa fallimentare. In tale situazione infatti le posizioni del rapporto debitorio e del rapporto creditorio sono relative a soggetti diversi (fallito e massa fallimentare) e a momenti diversi rispetto alla dichiarazione di fallimento, con conseguente illegittimità della eventuale compensazione.

Non possono pertanto trovare applicazione, con riferimento ai crediti d’imposta maturati (e chiesti a rimborso) post-procedura, le disposizioni recate dagli articoli 23 del Dlgs 472/1997 e 28-ter del Dpr 602/1973, che prevedono la sospensione del rimborso dei crediti fiscali a seguito della notifica di atti di contestazione o di irrogazione di sanzioni e di iscrizioni a ruolo.

Tale principio, che è in linea con la risoluzione 279/E/2002 e con la circolare 13/E/2011, trova conforto nell’orientamento della Cassazione, la quale, con la sentenza 14620/2019 aveva già statuito quanto segue:

• il curatore, pur conservando la partita Iva del fallito, non può compensare il credito Iva ante fallimento con i debiti maturati durante la procedura, posto che la posizione Iva maturata in epoca precedente la dichiarazione di fallimento è differente da quella formatasi successivamente;
• ciò è confermato dalla suddivisione dell’anno in cui il fallimento è dichiarato in due distinti segmenti temporali, prevista dalle norme fiscali;
• quel che rileva è in ogni caso il fatto genetico dell’obbligazione, ossia se il momento in cui la stessa sorge è anteriore o posteriore alla dichiarazione di fallimento, e pertanto la compensazione opera quando il controcredito del fallito, pur divenendo liquido od esigibile dopo l’apertura della procedura, sia sorto prima.

Il principio affermato dall’Agenzia è applicabile anche al concordato preventivo, fatti salvi gli effetti della mancata suddivisione in due segmenti, in questo caso, del periodo d’imposta nel quale l’impresa contribuente è ammessa al concordato.