Linea dura della Cassazione sui debiti sorti durante gli iter concorsuali. Di contro, per l’associazione
commercialisti, l’operazione sarebbe possibile

di Giulio Andreani e Angelo Tubelli

Il curatore della liquidazione giudiziale non può compensare il credito Iva maturato dall’impresa prima dell’apertura della procedura con i debiti sorti durante la procedura, a causa della suddivisione (sancita dalla normativa fiscale) in due segmenti temporali dell’anno in cui viene dichiarato il fallimento. Lo ha ribadito da ultimo la Corte di cassazione che, con la sentenza n. 7512 del 21 marzo 2025 ha confermato l’orientamento già espresso con le sentenze 3096/2019 e 14620/2019.
Un indirizzo con cui sembra confliggere la norma di comportamento n. 230 dall’Associazione Italiana dottori commercialisti ed esperti contabili (Aidc) il 29 maggio scorso. Questa norma afferma infatti che il credito Iva generato anteriormente all’avvio della liquidazione giudiziale (o del concordato preventivo) è compensabile, sia in senso verticale sia in senso orizzontale, con il debito tributario che si genera nel corso della procedura concorsuale, in quanto tali compensazioni non lederebbero le regole del concorso.
La questione riguarda l’utilizzo del credito Iva maturato dall’impresa fallita nel periodo anteriore al fallimento con debiti sorti verso l’Erario dopo l’apertura della procedura. In base all’articolo 155 del Codice della crisi i «creditori possono opporre in compensazione dei loro debiti verso il debitore il cui patrimonio è sottoposto alla liquidazione giudiziale i propri crediti verso quest’ultimo, ancorché non scaduti prima dell’apertura della procedura concorsuale».
Posizioni distinte Nella sentenza n. 7512 i giudici di legittimità sottolineano che «sebbene dopo la dichiarazione di fallimento il curatore fallimentare conservi la stessa partita Iva della società fallita, in nessun caso il credito Iva sorto antecedentemente alla dichiarazione di fallimento può essere compensato con Iva a debito generata in esercizi successivi. Invero, le due posizioni Iva – quella antecedente e quella successiva al fallimento – sebbene riferite ad un’unica partita Iva sono fra loro distinte e divaricate e detta diversità è testimoniata, sul piano strutturale, dalla circostanza per cui, al momento della sentenza d’apertura della procedura di concorso, il curatore è tenuto a redigere due dichiarazioni Iva, la prima avente ad oggetto le operazioni effettuate dall’imprenditore dichiarato fallito, la seconda riferita alle operazioni successive alla dichiarazione di fallimento».
Proprio la sussistenza di tali oneri denota e dimostra che le operazioni Iva ante fallimento, possedendo autonomia giuridica rispetto a quelle post fallimento, non risultano con queste compensabili. Tant’è che, ai fini della richiesta di rimborso del credito Iva eventualmente risultante dalle operazioni anteriori all’apertura del concorso, la dichiarazione di fallimento è equiparata alla cessazione dell’attività d’impresa, pur a fronte della permanenza della medesima partita Iva.
La dichiarazione del curatore per il periodo prefallimentare, in questo quadro, acclara formalmente la cessazione di attività, definendo l’intero coacervo dei rapporti tributari antecedenti all’apertura del concorso. Pertanto, tale dichiarazione costituisce una sorta di equipollente della cessazione dell’attività, suscettibile di generare il diritto della curatela fallimentare al rimborso dei versamenti che risultino effettuati in eccedenza, in forza di quanto disposto dall’articolo 30 del Dpr 633/72.
Diverso ruolo del curatore In questa prospettiva viene dunque rilevato (sempre nella sentenza 7512/2025) che per ciascuna delle due dichiarazioni a suo carico (quella prevista dall’articolo 74-bis e quella relativa all’Iva annuale) il curatore della liquidazione giudiziale assume una veste diversa, ossia – quanto alla dichiarazione Iva prefallimentare – quella di avente causa del fallito e amministratore del patrimonio di questi, nel caso in cui rinvenga beni, azioni o (come nella specie) crediti che già facevano capo al fallito (Cassazione 13762/2017); l’altra – con riferimento alla dichiarazione post-fallimentare – di gestore di un patrimonio altrui (e, quindi, di terzo rispetto all’imprenditore dichiarato fallito), ove eserciti l’attività liquidatoria nell’interesse della massa dei creditori.
23 Giugno 2025