di Giulio Andreani
Alla luce della produzione giurisprudenziale dell’ultimo anno e delle modifiche apportate dal Dl 118/20211 all’articolo 180, comma 4, legge fallimentare sull’omologazione forzosa delle proposte di transazione fiscale e contributiva, è ora che la cosiddetta interpretazione restrittiva di tale norma (come di quella prevista dall’omologo comma 4 dell’articolo 182-bis) venga definitivamente abbandonata sia dalle Entrate che da Inps e Inail.
L’interpretazione estensiva
La questione è ormai chiara, come confermano anche i recenti decreti dei Tribunali di Venezia (9 settembre 2021), Taranto (17 novembre 2021) e Como (1° dicembre 2021), secondo cui la transazione deve essere omologata forzosamente se è conveniente per i creditori pubblici, nonostante il rigetto della proposta da parte di questi ultimi, e quello del Tribunale di La Spezia (25 novembre 2021) che ha applicato per analogia tale principio al concordato fallimentare, come aveva già fatto il Tribunale di Teramo.
Tali pronunce confermano e rafforzano l’interpretazione fornita dai Tribunali di Roma, Milano, Genova, Pescara, Siracusa e Pisa, nonché di La Spezia e Forlì con riguardo alla crisi da sovraindebitamento, e trovano inoltre conforto nelle ordinanze del 25 marzo 2021 e del 22 novembre 2021 con le quali le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno affermato la piena sindacabilità dinanzi al giudice fallimentare dei provvedimenti di rigetto delle proposte di transazione fiscale e contributiva espressi dall’amministrazione finanziaria e dagli enti previdenziali, ritenendo l’interesse concorsuale prevalente rispetto a quello fiscale. Quest’ultimo principio va forse oltre la previsione legislativa, ma non v’è dubbio che i creditori pubblici non possono adottare provvedimenti che contrastino con l’interesse fiscale, disattendendo il miglior recupero possibile dei loro crediti. È chiaro quindi che l’interpretazione corretta è quella estensiva per i seguenti motivi:
– sulla base della ratio delle nuove norme, cui è stato affidato il compito di «superare ingiustificate resistenze dei creditori pubblici alle soluzioni concordate della crisi registrate nella prassi»;
– perché la discrezionalità di tali enti non è infatti libera, ma vincolata al miglior recupero dei crediti;
– per realizzare un coordinamento sistematico con la disciplina del sovraindebitamento, ove è pacifico che l’omologazione forzosa si applica anche in presenza del diniego di Agenzia ed enti previdenziali;
– perché, nel concordato preventivo, il voto contrario e la mancata espressione di voto hanno gli stessi effetti sul calcolo delle maggioranze;
– per la necessità di consentire, anche sulla scorta delle pronunce delle Sezioni unite, un sindacato dell’eventuale diniego del fisco sulla proposta di transazione, sindacato che non potrebbe, in concreto, essere esercitato laddove se si negasse al tribunale la possibilità di intervenire sul rigetto della proposta;
– perché, nell’accordo di ristrutturazione dei debiti, l’espressione «mancanza di adesione» prevista dall’articolo 182-bis può essere intesa non solo come assenza di risposta dell’Erario, ma anche come risposta negativa, e perché con riguardo al concordato preventivo, il Dl 118/2021 ha reso il testo dell’articolo 180 identico a quello dell’articolo 182-bis, all’evidente scopo di rendere la disciplina dell’omologazione forzosa nel concordato omogenea a quella dell’accordo di ristrutturazione;
– perché l’interpretazione estensiva non contrasta con i principi della direttiva Ue Insolvency, 1023/2019, come ha affermato il Tribunale di Venezia richiamando la pronuncia 21 aprile 2021 del Tribunale di Teramo.
Agenzia ed enti
L’Agenzia e gli enti previdenziali dovrebbero prendere quindi atto di questo indirizzo, prescindendo dalle cause della crisi. Inoltre gli enti previdenziali dovrebbero cessare di guardare come a un faro a un decreto (quello del 4 agosto 2009) che è stato abrogato considerando che il fulcro della transazione fiscale e contributiva è costituto dalla sua convenienza e gli enti dovrebbero pertanto cessare di guardare come a un faro a un decreto (quello del 4 agosto 2009) che è stato abrogato oltre un anno fa. Dovrebbero inoltre evitare motivi di diniego capziosi, come quello dell’inammissibilità delle proposte presentate da imprese in liquidazione o da imprese che negli anni precedenti hanno commesso violazioni fiscali, per concentrarsi sulla reale convenienza delle proposte, magari scoprendo che spesso è solo apparente.