di Giulio Andreani

L’esonero tout court dalla registrazione della variazione in diminuzione da parte del debitore assoggettato a procedura concorsuale (si veda l’articolo a lato) non sembra in linea con l’autonomo obbligo di rettifica della detrazione IVA affermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza 11 settembre 2020, n. 18837il committente perderebbe sin dalla data di omologazione della domanda di concordato preventivo – il diritto di far valere la rettifica oltre la percentuale indicata nella proposta omologata.
Indipendentemente dal fatto che nel citato arresto giurisprudenziale (ribadito nella successiva sentenza 25896/2020) i giudici di legittimità sembrerebbero non avere tenuto conto del chiaro incipit dell’art. 26, comma 5 (che subordina l’obbligo di rettifica della detrazione al solo caso in cui “il cedente o prestatore si avvalga della facoltà” di emettere la nota di variazione in diminuzione), in tal modo il legislatore ha avvalorato (ancorché per evidenti esigenze di semplificazione e di agevolazione delle procedure concorsuali) la tesi interpretativa dell’Agenzia delle entrate, che appare però foriera di un’asimmetria nel sistema dell’IVA, fondato sul bilanciamento tra IVA a debito e IVA a credito. In tale sistema la funzione di raccordo ordinariamente svolta dalla fattura viene svolta, nei casi di successiva riduzione della base imponibile, dalla nota di variazione in diminuzione; e tale funzione viene meno allorché si esoneri il debitore dalla sua registrazione “a debito”.

In considerazione del fatto che l’obbligo di rettifica della detrazione IVA rilevato dalla Cassazione discende dall’analogo principio sancito dalla Corte di Giustizia UE nell’ambito della sentenza 22 febbraio 2018, C-396/16, desumibile dall’art. 185 della direttiva 2006/112/CE, almeno con riferimento alla procedura di concordato preventivo forse sarebbe stato meglio abbandonare l’impostazione finora fornita dall’amministrazione finanziaria e riconoscere, all’opposto, l’obbligo di annotare nei registri IVA il documento di rettifica con rilevazione del conseguente debito per IVA, ma al contempo stabilendo che il corrispondente credito erariale costituisce un credito concorsuale come tutti gli altri aventi la medesima natura, da trattare perciò con i medesimi criteri sanciti dall’art. 182-ter in tema di transazione fiscale, ancorché l’esatta e definitiva misura di tale tipologia di credito possa ottenersi soltanto a seguito dell’omologa della domanda concordataria. In tal modo, infatti il credito erariale discendente dalla rettifica della detrazione IVA post apertura della procedura non presenta caratteri differenti rispetto (per esempio) a quello per omessi versamenti dell’imposta maturati anteriormente, e quindi non si vede per quale ragione debba essere in radice stralciato per intero; inoltre, la disciplina del concordato preventivo contiene disposizioni idonee a disciplinare il trattamento del diverso ammontare del credito erariale annotato nel corso della procedura, rispetto alla diversa misura emergente successivamente all’omologa (fino al termine di presentazione della dichiarazione IVA).

Oltre a garantire un trattamento uniforme della rettifica sia nel concordato preventivo, sia negli accordi di ristrutturazione del debito, si darebbe così attuazione all’obbligo di rettifica della detrazione IVA affermato dalla Corte di Giustizia UE e dalla Corte di Cassazione, superando il rischio di possibili censure circa l’indiscriminata rinuncia al recupero del tributo (cui invece appare esposta la norma come riformata dal D.L. n. 73/2021 (la falcidia dei crediti tributari in sede di transazione fiscale, infatti, nel 2016 è stata ritenuta compatibile con il diritto dell’Unione).