di Giulio Andreani e Angelo Tubelli

L’art. 9 del Decreto Legge n. 23/2020 contiene misure dirette ad adeguare l’esecuzione degli obblighi assunti dal debitore nell’ambito dei concordati preventivi e degli accordi di ristrutturazione, in particolare dilatandone ex lege di sei mesi i termini di adempimento (se cadenti tra il 23 febbraio 2020 e il 31 dicembre 2021), qualora il procedimento di omologazione si sia concluso prima del 23 febbraio 2020, ovvero consentendo di richiederne il differimento fino a sei mesi, nel caso in cui a tale data il procedimento di omologazione fosse ancora pendente. Un’interpretazione strettamente letterale della seconda previsione richiederebbe il necessario avvio del procedimento di omologazione entro la suddetta data del 23 febbraio 2020, così finendo per restringere notevolmente la platea dei contribuenti che ne potrebbero fruire, specie con riferimento agli accordi di ristrutturazione dei debiti assistiti da transazione fiscale e previdenziale avviati quando della pandemia non si aveva ancora notizia. I tempi di approvazione da parte degli enti preposti, infatti, non sono brevi, sicché rischiano di rimanere esclusi dalla misura di sostegno i contribuenti che, pur avendo formulato le relative istanze molto tempo fa, al 23 febbraio 2020 non erano ancora in condizione di chiedere l’omologazione dell’accordo di ristrutturazione, essendo stata la transazione sottoscritta successivamente.

 

1. Premessa

Con l’art. 9 del D.L. 8 aprile 2020, n. 23 (di seguito il “Decreto”), per impedire che  l’emergenza sanitaria generata dal COVID-19 e la crisi economica che ne è conseguita possano comportare “evidenti ricadute negative sulla conservazione delle strutture imprenditoriale rilevanti del ciclo produttivo ed economico”[1], sono state adottate una serie di misure dirette a favorire il corretto adempimento degli obblighi assunti dalle imprese che hanno fatto ricorso al concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti di cui all’art. 182-bis della legge fallimentare, consistenti:

  • nella proroga ex lege dei termini di adempimento dei concordati preventivi e degli accordi di ristrutturazione già omologati alla data del 23 febbraio 2020 (data cui è ricondotta l’insorgenza dell’emergenza epidemiologica);
  • nella possibilità di elaborare ex novo una proposta di concordato preventivo o un accordo di ristrutturazione in sostituzione di quelli pendenti al 23 febbraio 2020;
  • nella possibilità di richiedere la modifica unilaterale dei termini di adempimento originariamente prospettati nella proposta e nell’accordo;
  • nella possibilità di prorogare fino a novanta giorni il termine concesso dal Tribunale, ai sensi dell’art. 161, comma 6, l.f., per il deposito della proposta concordataria e del relativo piano ovvero, ai sensi dell’art. 182-bis, comma 7, l.f., per il deposito dell’accordo di ristrutturazione sottoscritto da creditori che rappresentano almeno il sessanta per cento dei crediti.

I suddetti interventi normativi riguardano anche gli impegni assunti dal debitore nei confronti dell’Agenzia delle Entrate e degli enti previdenziali e assistenziali tramite l’istituto della transazione fiscale e previdenziale disciplinato dall’art. 182-ter l.f.; essi sono sicuramente da salutare con favore, sebbene il testo normativo non brilla certo per chiarezza e, soprattutto, rischia di limitarne fortemente l’ambito di applicazione.

 

2. Modifiche alle transazioni fiscali già perfezionate

L’art. 9, comma 1, del Decreto dispone che i termini di adempimento dei concordati preventivi e degli accordi di ristrutturazione dei debiti omologati, aventi scadenza nel periodo tra il 23 febbraio 2020 e il 31 dicembre 2021, sono prorogati di sei mesi.

L’espressione “termini di adempimento” contenuta nel comma 1 dell’art. 9 va riferita al compimento degli adempimenti atti a dare esecuzione al piano di risanamento oggetto del concordato o dell’accordo di ristrutturazione omologato, compreso quindi l’obbligo di eseguire i pagamenti nei confronti dei creditori alle scadenze convenute, in linea con la ratio della norma, cioè salvaguardare le procedure di concordato preventivo o di accordi di ristrutturazione omologati la cui corretta esecuzione potrebbe essere pregiudicata dallo scoppio della crisi epidemica.

Poiché tale previsione si applica anche ai pagamenti previsti dalla transazione fiscale e previdenziale, con la circolare n. 11/E del 6 maggio 2020 (quesito 5.11) l’Agenzia delle entrate ha confermato che devono ritenersi automaticamente prorogate di sei mesi le scadenze dei pagamenti dei debiti tributari, ricadenti nel periodo tra il 23 febbraio 2020 e il 31 dicembre 2021, dovuti in dipendenza delle transazioni fiscali approvate nell’ambito di tali procedimenti[2]; restano in toto confermate le scadenze dei pagamenti successive al 31 dicembre 2021.

La posticipazione dei termini di adempimento non esplica invece effetti con riguardo a quanto disposto dal comma 6 dell’art. 182-ter l.f., a norma del quale “La transazione fiscale conclusa nell’ambito dell’accordo di ristrutturazione di cui all’articolo 182-bis è risolta di diritto se il debitore non esegue integralmente, entro novanta giorni dalle scadenze previste, i pagamenti dovuti alle Agenzie fiscali e agli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie”. Il termine ivi sancito, infatti, non costituisce un termine di adempimento, bensì un termine moratorio entro il quale il ritardo del debitore nell’adempimento degli obblighi assunti è tollerato e non comporta il rischio di risoluzione di diritto della transazione. Resta inteso che, per effetto della proroga ex lege dei termini di adempimento, il suddetto termine moratorio decorre dai nuovi termini, e non più da quelli originariamente pattuiti[3].

 

3. La distinzione tra concordati e accordi omologati o quelli ancora da omologare

Poiché la proroga stabilita dal comma 1 si applica alle transazioni fiscali e previdenziali perfezionatesi nell’ambito di concordati e accordi di ristrutturazione omologati e riguarda i termini di adempimento connesse a tali procedimenti che hanno scadenza nel periodo 23 febbraio 2020 e il 31 dicembre 2021, deve necessariamente trattarsi di omologazioni disposte entro la prima delle suddette date, cioè il 23 febbraio 2020, come peraltro confermato per ragioni sistematiche dal successivo comma 2.

Quest’ultimo disciplina il caso dei procedimenti per l’omologazione dei concordati e degli accordi di ristrutturazione pendenti a tale data, relativamente ai quali il decreto omologativo non è tuttavia ancora stato emesso, attribuendo all’impresa debitrice la possibilità di presentare, sino all’udienza di omologa, istanza al tribunale per la concessione di un termine non superiore a novanta giorni, al fine di poter depositare un nuovo piano e una nuova proposta di concordato[4] ovvero un nuovo accordo di ristrutturazione, nella cui redazione si possa tenere conto degli effetti prodotti dalla crisi pandemica sul piano originario e sulle proposte precedentemente elaborate.

Pertanto il citato art. 9 prevede rimedi diversi, a seconda della fase in cui il concordato o l’accordo di ristrutturazione si trovano, a seconda cioè che alla suddetta data del 23 febbraio siano già stati omologati (che è la fattispecie oggetto del comma 1), o meno (che costituisce la fattispecie di cui ai commi 2 e 3): nel primo caso, essendo essi già stati perfezionati e non essendo dunque suscettibili di modifica, i termini di pagamento sono automaticamente prorogati di sei mesi, mentre nel secondo, non essendo invece ancora stati perfezionati con la omologazione cui sono generalmente condizionati, è prevista la concessione di un termine per permettere al debitore di elaborare una nuova proposta che tenga conto più puntualmente degli effetti della crisi finanziaria in corso ovvero, come consente il comma 3, di richiedere unilateralmente al tribunale solo il differimento dei termini di adempimento, dando prova della sua necessità.

 

4. La sostituzione nei “procedimenti di omologazione” pendenti

La fattispecie disciplinata dal comma 2 si applica dunque ai “procedimenti di omologazione del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione pendenti alla data del 23 febbraio” e, sulla base della lettera di questa disposizione, è da ritenersi che si debba fare riferimento ai casi in cui entro tale data sia stato avviato il giudizio di omologazione del concordato ai sensi dell’art. 180 l.f., il che presuppone la precedente approvazione della proposta concordataria da parte dei creditori, ovvero che sia stata presentata la domanda di omologazione degli accordi di ristrutturazione, ai sensi del comma 1 dell’art. 182-bis, compresi, eventualmente, quelli costituiti dagli atti di transazione fiscale e previdenziale, il che presuppone la conclusione di tali accordi[5]. Questa lettura della norma fa leva sull’utilizzo dell’espressione “procedimenti per la omologazione” e sul fatto che si riferisce anche all’accordo di ristrutturazione, relativamente al quale ha senso prevedere la presentazione di un’istanza al tribunale solo dopo il deposito della domanda di omologazione dell’accordo o comunque dopo la conclusione degli accordi di ristrutturazione, atteso che anteriormente nessuna norma impedisce di modificare il piano e la proposta; tale lettura è inoltre compatibile con la ratio della norma, con riferimento sia al concordato preventivo sia all’accordo di ristrutturazione dei debiti, perché consente di riformulare il piano e la proposta anche in una fase in cui, ai sensi delle ordinarie disposizioni, ciò non sarebbe più consentito, vale a dire dopo che è spirato il quindicesimo giorno anteriore a quello dell’adunanza dei creditori, giusta il disposto del comma 2 dell’art. 172 l.f., relativamente al concordato, e dopo che l’accordo è stato sottoscritto, relativamente ai procedimenti di cui agli artt. 182-bis e 182-ter.

Sussistono tuttavia buone ragioni per prevedere che il termine di novanta giorni per modificare il piano e la proposta concordataria, al fine di adeguare tali elaborati al mutato contesto economico e finanziario generato dalla pandemia, venga concesso anche all’impresa la cui proposta di concordato non si trovi ancora nella fase di omologazione ovvero non sia ancora stata nemmeno sottoposta al voto dei creditori. È vero che in tale situazione nessuna norma, fatto salvo il citato art. 172 una volta spirato il termine ivi indicato, impedisce all’impresa debitrice di formulare una nuova proposta di concordato, ma nessuna disposizione ordinaria le attribuisce un termine per farlo, il che giustifica l’estensione del disposto del comma 2 anche a questa fattispecie, cioè a quella della proposta che non solo non è stata ancora omologata, ma non è stata ancora nemmeno sottoposta al voto dei creditori. Inoltre la norma, così com’è scritta, impedisce la formulazione di un nuovo piano da parte dell’impresa che, dopo aver ottenuto l’approvazione della propria proposta concordataria, non avesse ancora avviato il giudizio di omologazione alla data del 23 febbraio 2020[6]; e non vi è dubbio che anche in questo caso l’impresa debitrice abbia risentito degli effetti della pandemia.

Sarebbe maggiormente coerente con la ratio della norma ritenere che, ai fini dell’applicazione del disposto del comma 2, sia la procedura di concordato (e la coeva proposta di transazione fiscale e previdenziale), più che il “procedimento di omologazione del concordato”, a dover essere stata pendente alla data del 23 febbraio 2020. Quanto all’accordo di ristrutturazione dei debiti (e alla connessa proposta di transazione fiscale e previdenziale), occorrerebbe che il comma 2 trovasse applicazione anche nel caso in cui, indipendentemente dalla presentazione della domanda di omologazione, gli accordi con i creditori siano stati sottoscritti anteriormente al 9 aprile 2020 (data di entrata in vigore del Decreto), atteso che anche in queste situazioni l’applicazione della norma di cui trattasi si rivelerebbe assai utile. I percorsi di approvazione degli accordi di cui trattasi, e in particolare di quelli attinenti alla transazione fiscale e previdenziale, sono infatti tali da far sì che gli accordi sottoscritti tra il 23 febbraio e il 9 aprile derivino da proposte formulate quando della pandemia non si aveva ancora notizia.

 

5. Quali accordi sono suscettibili di modifica unilaterale dei termini di pagamento?

Il comma 3 dell’art. 9  stabilisce inoltre che, “quando il debitore intende modificare unicamente i termini di adempimento del concordato preventivo o dell’accordo di ristrutturazione deposita, sino all’udienza fissata per l’omologazione, una memoria contenente l’indicazione di nuovi termini”, i quali non possono peraltro eccedere di sei mesi quelli originari, fornendo dimostrazione della necessità della modifica richiesta; se ne ricorrono i presupposti, il tribunale procede all’omologa, dando atto delle nuove scadenze. Questa disposizione consente quindi – all’impresa debitrice già ammessa alla procedura di concordato preventivo la cui proposta sia stata approvata dai creditori, ovvero all’impresa che abbia già concluso con i creditori un accordo di ristrutturazione dei debiti – di richiedere al tribunale, sino all’udienza fissata per l’omologa, di stabilire unilateralmente nuovi termini di adempimento. Posto che lo scopo della norma è quello di consentire la modifica dei “termini di adempimento” del concordato o dell’accordo, ne discende la necessità che già siano stati definiti i termini da modificare e pertanto che la proposta del debitore – dalla quale tali termini sono previsti – sia stata precedentemente approvata dai creditori attraverso il voto, nel primo caso, e per mezzo della sottoscrizione dei relativi atti, nel secondo.

Il comma 3 dell’art. 9 sembra dunque riferirsi, più che a una situazione alternativa a quella prevista dal comma 2, e intermedia tra quest’ultima e quella di cui al primo comma, a una situazione che si colloca all’interno ed è più limitata di quella del comma 2 (quando è intervenuta l’approvazione dei creditori, ma manca l’omologazione), nel qual caso il debitore può esercitare una diversa opzione (quella della modifica unilaterale dei termini, in luogo dell’elaborazione di un nuovo piano e di nuova proposta) ovvero che corrisponde a quella disciplinata dal comma 2 (ogniqualvolta, oltre alla omologazione, manca anche l’approvazione della proposta da parte dei creditori), nel qual caso al debitore è consentito solo chiedere un termine per redigere nuovamente il piano e la proposta.

Se così è, il riferimento alla data del 23 febbraio 2020 previsto dal comma 2 rileva con riguardo a entrambe le fattispecie, ancorché non sia ripetuto nel comma 3.

Se ne trova conferma nella relazione illustrativa al Decreto, quando si precisa che la novità recata dalla previsione del comma 3 risiede, con riguardo “ai procedimenti di omologa dei concordati preventivi e degli accordi di ristrutturazione ancora pendenti alla data del 23 febbraio 2020, nella possibilità per il debitore di optare per una soluzione più snella, consistente nella modifica unilaterale dei termini di adempimento originariamente prospettati nella proposta e nell’accordo”. Inoltre, anche il fatto che la proroga di sei mesi debba essere appositamente richiesta dal debitore tramite il deposito presso il Tribunale di un’apposita memoria in cui enunciare, oltre ai nuovi termini, le ragioni che li rendono necessari, conduce a ritenere che presupposto di detta richiesta sia un procedimento di omologazione già incardinato presso il Tribunale competente, vale a dire l’avvenuta approvazione della proposta concordataria ovvero e l’avvenuto deposito, da parte del debitore, dell’istanza di omologazione degli accordi di ristrutturazione sottoscritti con i creditori che rappresentano almeno il sessanta per cento dei crediti.

Sembra ribadirlo anche la relazione tecnica al Decreto, che rimarca la natura meramente procedimentale delle misure contenute nell’art. 9 (tra cui quella in commento), che come tali non determinano “nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, in quanto gli adempimenti connessi alle attività istituzionali potranno essere fronteggiati nell’ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente”.

Tuttavia, mentre il riferimento alla data del 23 febbraio 2020 appare coerente relativamente al concordato preventivo, sempre che si assuma l’interpretazione estensiva sopra prospettata, lo è assai meno con riguardo alla fase prettamente “procedimentale” degli accordi di ristrutturazione dei debiti.

Infatti, se le disposizioni di cui ai menzionati commi 2 e 3 dovessero trovare applicazione solo relativamente agli accordi di ristrutturazione di cui era stata richiesta l’omologazione alla data del 23 febbraio 2020, esse finirebbero per poter essere utilizzate in ben pochi casi, se si considera che sono entrate in vigore il 9 aprile scorso e che l’omologazione di un accordo di ristrutturazione ha luogo in genere nei quarantacinque/sessanta giorni successivi alla domanda di omologazione, anche se i differimenti delle udienze in questo periodo non sono mancati (le norme di cui trattasi non hanno però lo scopo di tener conto degli effetti di tali differimenti, ma di quelli della crisi sopravvenuta).

Ciò che si intende dire è che, per questi motivi, con riguardo all’accordo di ristrutturazione dei debiti le disposizioni dei commi 2 e 3 dovrebbero essere applicabili, non solo ai procedimenti per i quali è stata richiesta la omologazione anteriormente alla data del 23 febbraio 2020, ma anche a quelli per i quali era stata formalmente formulata la proposta di ristrutturazione dei debiti prima di tale data (le proposte di transazione fiscale e previdenziale devono essere presentate con atti formali regolarmente protocollati, per cui il momento della loro formulazione è individuabile con certezza). In caso contrario, pur non emergendo apprezzabili criticità in merito al campo di applicazione del comma 2, poiché le modifiche del piano e della proposta su cui si fonda possono essere apportate prima della stipula degli accordi non essendo ostacolate da alcuna norma, criticità emergerebbero certamente in merito all’applicazione del comma 3; infatti – tenendo conto del fatto che il raggiungimento di un accordo (anche con il Fisco e gli enti previdenziali) richiede normalmente non meno di nove mesi – rimarrebbero senza rimedio tutti i procedimenti relativi agli accordi di ristrutturazione dei debiti che, sulla base di piani e di proposte elaborate nel primo semestre dell’anno 2019 e quindi ben prima dello scoppio della pandemia, siano stati conclusi tra il 23 febbraio 2020 e la data di entrata in vigore del Decreto. È vero che in questo caso il debitore potrebbe comunque proporre ai creditori con cui ha già sottoscritto degli accordi di rivederne i termini alla luce dei fattori di crisi originati dalla pandemia, ma, in assenza dell’applicazione della tesi qui sostenuta, non potrebbe avvalersi dell’opzione prevista dal comma 3, la quale, fatta eccezione per pochi casi, risulterebbe quindi inutiliter data.

Nella sostanza, la data del 23 febbraio 2020 è stata individuata dal legislatore come momento a partire dal quale i debitori erano informati della pandemia e quindi dei rischi che da essa potevano derivare, dal che dovrebbe discendere la possibilità di dovere rivedere i piani e le proposte elaborati prima di tale data, mentre quelli predisposti successivamente dovrebbero tener conto ab origine del mutato contesto economico e finanziario. Ciò è corretto, ma il fatto è che i piani e le proposte elaborati anteriormente ad essa non hanno dato tutti luogo all’avvio del relativo procedimento di omologazione entro la medesima data, perché è assolutamente fisiologico che tra il perfezionamento del piano, la sua attestazione, l’elaborazione della proposta di concordato o di accordo e l’approvazione della stessa da parte dei creditori trascorrano diversi mesi; pertanto riferire la data del 23 febbraio 2020 a un atto che non sia la formulazione della proposta ai creditori tradisce la ratio stessa del provvedimento e serve a ben poco.

Con riferimento alla transazione fiscale e alla transazione previdenziale ne discende che le predette norme dovrebbero trovare applicazione relativamente alle domande presentate all’Agenzia delle entrate e agli enti previdenziali e assicurativi, ai sensi del comma 5 dell’art. 182-ter l.f., anteriormente alla data del 23 febbraio 2020: qualora siano state approvate, ancorché non ancora omologate, entro la data di entrata in vigore del Decreto, troverà applicazione il disposto del comma 3 e, in caso contrario, quello del comma 2.

 

6. “Automatic stay” e proroga dei termini

Ai sensi dell’art. 161, comma 6, l.f. l’imprenditore può depositare il ricorso contenente la domanda di concordato, unitamente ai bilanci relativi agli ultimi tre esercizi nonché all’elenco nominativo dei creditori e dei rispettivi crediti, riservandosi di presentare la proposta, il piano e la relativa documentazione entro un termine fissato dal giudice compreso fra sessanta e centoventi giorni; il termine fissato è prorogabile, in presenza di giustificati motivi, di non oltre sessanta giorni.

Del pari, al fine di vietare l’inizio o la prosecuzione di azioni cautelari o esecutive, ai sensi del comma 7 dell’art. 182-bis l’imprenditore può depositare presso il tribunale competente, già nel corso delle trattative e prima della sua definitiva formalizzazione, una  proposta di accordo corredata (i) da una dichiarazione dell’imprenditore attestante che sulla proposta sono in corso trattative con i creditori che rappresentano almeno il sessanta per cento dei crediti e (ii) da una dichiarazione del professionista in possesso dei requisiti di cui all’art. 67, comma 3, lett. d), l.f. circa la idoneità della proposta (se accettata) ad assicurare l’integrale pagamento dei creditori che restano ne estranei, insieme con la documentazione prevista dall’art. 161, commi 1 e 2, lett. a), b), c) e d). In questa ipotesi il tribunale, nel corso dell’udienza tenuta entro il trentesimo giorno successivo al deposito dell’istanza, dispone con decreto motivato il divieto di iniziare o proseguire le azioni cautelari o esecutive assegnando il termine di non oltre sessanta giorni per il deposito dell’accordo di ristrutturazione e della relazione redatta dal professionista.

Ad entrambe le suddette “domande prenotative” si riferisce l’ulteriore misura di sostegno prevista dal comma 4 dell’art. 9 del Decreto, stabilendo quanto segue:

  1. il debitore che ha depositato istanza di “concordato in bianco” ai sensi del citato comma 6 dell’art. 161, ottenendo la concessione del termine per la presentazione della relativa proposta e del piano (“che sia già stato prorogato dal Tribunale), può, prima della scadenza, presentare istanza per la concessione di una ulteriore proroga sino a novanta giorni, anche nei casi in cui è stato depositato ricorso per la dichiarazione di fallimento”;
  2. il debitore che ha depositato la proposta di accordo di ristrutturazione, ottenendo la concessione del termine per la presentazione dell’accordo sottoscritto dai creditori, può presentare istanza per la concessione di una ulteriore proroga sino a novanta giorni.

In entrambi i casi il tribunale concede la proroga quando ritiene che l’istanza si basa su concreti e giustificati motivi (in essa quindi debitamente esplicitati) che rendono necessaria la concessione della proroga con specifico riferimento ai fatti sopravvenuti per effetto dell’emergenza epidemiologica COVID-19[7]. Inoltre, nel secondo caso, il tribunale è tenuto a verificare nuovamente la sussistenza delle maggioranze richieste per l’omologazione dell’accordo[8].

La particolare formulazione della norma suscita alcune perplessità circa la corretta interpretazione della locuzione “che sia stato già prorogato dal Tribunale”, presente nell’art. 9, comma 4, primo periodo, del Decreto con riferimento al termine concesso al debitore ex art. 161, comma 6, l.f. per la presentazione della proposta concordataria e del relativo piano.  Sotto il profilo letterale tale disposizione sembrerebbe infatti da interpretarsi nel senso che l’istanza di proroga sino a novanta giorni potrebbe essere presentata solo se il tribunale ha già concesso il termine massimo “in presenza di giustificati motivi”, grazie alla proroga fino a ulteriori sessanta giorni prevista dall’ultima parte del primo periodo della norma da ultimo citata. Alla medesima conclusione sembrano condurre la relazione illustrativa al Decreto, quando precisa che la dilatazione sino a novanta giorni dell’“automatic stay” è “accessibile ai debitori per i quali gli originari termini siano in scadenza senza possibilità di ulteriori proroghe”.

Se così fosse, l’istanza de qua non potrebbe essere dunque presentata allorché il tribunale non avesse già concesso, “in presenza di giustificati motivi”, il maggior termine (“di non oltre sessanta giorni”) previsto dall’art. 161, comma 6, primo periodo per il deposito della proposta concordataria, in aggiunta al termine ordinario compreso fra sessanta e centoventi giorni. Una tale impostazione parrebbe dettata dalla considerazione che i motivi della richiesta di proroga per la sopravvenuta emergenza sanitaria andrebbero così ad aggiungersi a quelli già esposti al Tribunale nella domanda prenotativa del “concordato in bianco”, sicché il maggior termine concesso in relazione a questi ultimi si cumulerebbe con la proroga già ottenuta.

Tuttavia la condizionare la possibilità richiedere la proroga fino a novanta giorni all’avvenuta fruizione del maggior termine previsto dalla norma testé citata si rivela obiettivamente un’inutile complicazione, peraltro in contrasto con la” preponderante esigenza di conferire quante più chances possibili al salvataggio dell’impresa” richiamata nella relazione illustrativa a giustificazione della previsione normativa che consente di richiedere la proroga anche in pendenza di un ricorso per dichiarazione di fallimento. Inoltre, se la proroga “di non oltre sessanta giorni” già ammessa dall’art. 161, comma 6, primo periodo, non è stata ancora concessa dal Tribunale, vuol dire presumibilmente che essa non è stata ritenuta ammissibile per “assenza di giustificati motivi”, sicché la fruizione della proroga de qua non attribuirebbe allo stesso alcun doppio vantaggio; anzi lo penalizzerebbe irragionevolmente solo perché non potrebbe rappresentare “giustificati motivi” al di là della crisi economica generata dal COVID-19, sebbene questi si aggiungano – senza sostituirsi – a quelli eventualmente già segnalati al tribunale. Infine, l’ampiezza della proroga concedibile in base all’art. 161, comma 6, primo periodo (sessanta giorni) è diversa da quella che più essere richiesta in forza dell’art. 9, comma 4, primo periodo, del Decreto (novanta giorni).

A giudizio di chi scrive, dunque, per motivi di ordine logico-sistematico la locuzione “che sia stato già prorogato dal Tribunale” andrebbe letta nel senso di “ancorché sia stato già prorogato dal Tribunale”. Questa conclusione, invero, sembra trovare conferma nel dossier predisposto per l’esame del Decreto da parte del Senato, ove si rappresenta come, a norma del comma 4 dell’art. 9 “il debitore possa presentare istanza per ottenere un’ulteriore proroga (sino a novanta giorni) del termine già concesso ed eventualmente già prorogato” ex art. 161, comma 6, l.f..


[1] Così recita testualmente la relazione tecnica al Decreto.

[2] Nell’ambito della suddetta circolare l’Agenzia delle entrate ha tenuto a chiarire che non rientrano nella proroga i pagamenti derivanti dall’adesione alle definizioni agevolate dei carichi affidati all’agente della riscossione ai sensi del D.L. 16 ottobre 2017, n. 148 e del D.L. 23 ottobre 2018, n. 118 (c.d. “rottamazioni bis e ter”), in quanto alla natura eccezionale della “rottamazione” consegue l’applicazione di regole e scadenze apposite, come dimostrato dal comma 3 dell’art. 68 del Decreto, che contiene una specifica previsione per il differimento dei termini dei versamenti derivanti dai carichi oggetto di rottamazione.

[3] Cfr. circolare n. 11/E/2020, cit.

[4] Come evidenziato da G. Acciaro, A. Danovi, A. Quagli, “Concordati, sei mesi per le modifiche ma va sciolto il nodo della fattibilità”, in Il Sole – 24 Ore del 31 marzo 2020 del 3 maggio 2020, il nuovo termine concesso per sostituire il piano concordatario è piuttosto breve affinché se ne possa attestare correttamente la fattibilità.

[5] Com’è noto, l’iter che conduce al perfezionamento degli accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis (e al prodursi dei relativi effetti) è idealmente scomponibile in due fasi:

  • una prima fase di carattere stragiudiziale, caratterizzata dalle trattative intercorrenti tra l’imprenditore e i propri creditori per la definizione della sua posizione debitoria e culminante nella stipula di un accordo con quelli rappresentanti almeno il sessanta per cento dei debiti dell’impresa, pubblicato nel registro delle imprese. Dalla data di pubblicazione e per sessanta giorni i creditori per titolo e causa anteriore a tale data (tra cui l’Erario) non possono iniziare o proseguire azioni cautelari o esecutive sul patrimonio del debitore, né acquisire titoli di prelazione se non concordati, applicandosi l’art.168, comma 2, l.f.;
  • una seconda fase di carattere giudiziale, in cui l’accordo pubblicato è depositato presso il Tribunale competente affinché l’autorità giudiziaria provveda (se ne sussistono i requisiti e alla luce delle eventuali opposizioni proposte dai creditori) alla sua omologazione, il cui principale effetto è rappresentato dall’esenzione dall’azione revocatoria degli atti, delle garanzie e dei pagamenti posti in essere in esecuzione dello stesso.

[6] Ai sensi dell’art. 180 l.f., infatti, l’inizio del procedimento di omologazione presuppone l’avvenuta approvazione della domanda concordataria da parte dei creditori, ovverosia che su di essa sia stata raggiunta la maggioranza dei consensi stabilita dall’art. 177 l.f. Cfr. E. Norelli, “Il Giudizio di omologazione del concordato preventivo”, in (diretto da) L. Ghia, C. Piccininni, F. Severini Trattato delle Procedure concorsuali, 4, Torino, 2010, pag. 499; G. Trentini, Sub art. 182-bis”, in G. Lo Cascio (diretto da) Codice commentato del fallimento, Milano, 2017, pag. 2413. Come rilevato da G. Bersani, “Il giudizio di omologazione”, in www.ilcaso.it, documento n. 203/2012, pag. 2, il procedimento di omologazione si instaura d’ufficio dopo tale momento.

[7] In caso di avvenuta nomina del commissario giudiziale nel concordato preventivo, il Tribunale deve acquisirne il parere.

[8] È stata invece disapplicata l’operatività della “macchinosa procedura” (come definita nella relazione illustrativa) prevista dall’art. 182-bis, comma 7, primo periodo, l.f., relativamente alla comunicazione ai creditori della documentazione presentata al riguardo.