di Giulio Andreani

L’articolo 86 del Dlgs sul nuovo Codice della crisi di impresa contiene un’importante innovazione sulla moratoria dei pagamenti relativi ai crediti assistiti da cause di prelazione nel concordato preventivo in continuità, la cui disciplina accentua, tra l’altro, l’utilità della transazione fiscale ai fini del soddisfacimento dei crediti tributari.

Questa disposizione stabilisce che il piano di concordato può prevedere una moratoria fino a due anni dall’omologazione per il pagamento dei creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, salvo che sia prevista la liquidazione dei beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione; in tal caso i creditori hanno diritto al voto per la differenza fra il loro credito maggiorato degli interessi di legge e il valore attuale dei pagamenti previsti dal piano calcolato alla data di presentazione della domanda di concordato, determinato sulla base di un tasso di sconto pari alla metà di quello previsto dall’articolo 5 del Dlgs 231 del 9 ottobre.

L’articolo 186-bis, comma 2, lettera c), della legge fallimentare tuttora in vigore – che corrisponde al nuovo articolo 86 – stabilisce invece che il piano può prevedere una moratoria solo fino a un anno dall’omologazione. La modifica introdotta è tuttavia significativa non tanto perché raddoppia il termine della moratoria (peraltro di per sé rilevante), ma per altri due motivi:

  1. perché precisa come determinare l’importo per il quale il voto è esercitato;
  2. perché, almeno così pare a una prima lettura della norma, precisa altresì che il suddetto termine di due anni costituisce la durata massima della moratoria (in questo senso si esprime espressamente la relazione accompagnatoria dello schema di decreto legislativo).

Quanto al primo profilo la nuova disposizione smentisce, quindi, una delle tesi formatesi in merito all’interpretazione della corrispondente disposizione recata dal comma 2, lettera c), del menzionato articolo 186-bis, secondo cui il diritto di voto dovrebbe essere attribuito per l’integrale ammontare del credito, anziché per la differenza tra tale ammontare e il valore attuale dello stesso; se così fosse, infatti, sarebbe assegnato un peso eccessivo a creditori comunque destinati a essere soddisfatti per intero e ciò potrebbe generare un rischio di inquinamento delle maggioranze.

In merito al secondo profilo occorre ricordare che l’articolo 186-bis, in base a un primo orientamento, disporrebbe semplicemente l’esclusione del diritto di voto per i creditori prelatizi di cui è previsto il soddisfacimento entro un anno dalla omologazione, ma non ne impedirebbe il pagamento ultrannuale, a condizione che i creditori prelatizi cui questo è offerto vengano ammessi al voto, essendo in questo caso il loro trattamento equiparabile a un pagamento non integrale. In base, invece, a un altro orientamento, tale norma impedirebbe in assoluto al debitore di prevedere una moratoria oltre l’anno per il pagamento dei creditori prelatizi, salvo il caso in cui questi vi abbiano acconsentito attraverso la stipula di un apposito patto.

La nuova disposizione sembra ora far proprio questo secondo indirizzo, poiché stabilisce che il voto già compete, nei limiti sopra indicati, in relazione ai crediti per i quali è prevista la moratoria sino a due anni; conseguentemente non avrebbe senso stabilire la durata della moratoria, se essa fosse derogabile grazie all’attribuzione, a favore dei creditori che subiscono la deroga, di un voto che compete in ogni caso, e cioè anche in assenza di quest’ultima.

Se così è, l’accoglimento della proposta di transazione fiscale da parte dell’Agenzia delle Entrate, indipendentemente dal suo rilievo ai fini del raggiungimento delle maggioranze, sarà decisivo ai fini della possibilità di soddisfare i crediti fiscali oltre due anni dalla omologazione, essendo essi assistiti da causa di prelazione ed essendo quindi soggetti alla disciplina del novellato articolo 86.