di Giulio Andreani e Angelo Tubelli

L’istituto della “transazione fiscale”, disciplinato dall’art. 182-ter della Legge fallimentare, evoca inevitabilmente il principio della indisponibilità dell’obbligazione tributaria e quello della discrezionalità dell’azione dell’Amministrazione finanziaria. Per un lungo periodo di tempo è stata infatti ritenuta illegittima una norma che attribuisse a quest’ultima il potere di concedere ai contribuenti una riduzione dei tributi da questi dovuti, venendo tale potere giudicato in irrimediabile contrasto con il “dogma”, appunto, della indisponibilità dell’obbligazione tributaria. Tale principio, indipendentemente dalla fonte in cui viene rinvenuto, è tuttavia legittimamente derogato dalle norme che disciplinano la transazione fiscale, in considerazione della situazione in cui tale istituto è utilizzato e dei fini che con esso sono perseguiti. Nell’applicazione di tali norme l’azione dell’Agenzia delle entrate è caratterizzata da una “discrezionalità controllata”, in quanto “vincolata” al conseguimento del miglior soddisfacimento possibile dei crediti erariali e dunque all’approvazione della proposta che assicuri tale soddisfacimento.

1. Premessa

Per mezzo della transazione fiscale le imprese che si trovano in una situazione di crisi possono ottenere una riduzione e una dilazione di pagamento dei loro debiti tributari, la misura delle quali dipende dalla gravità della situazione finanziaria e patrimoniale dell’impresa debitrice, dalle sue possibilità di risanamento e quindi dalle possibilità di evitare la disgregazione di una struttura produttiva e soprattutto dal recupero di tali crediti alternativamente realizzabile dall’Amministrazione finanziaria mediante altre soluzioni concretamente attuabili, qual è principalmente quella costituita dalla liquidazione dell’impresa stessa. L’art. 182-ter della legge fal-limentare, che ha introdotto e tuttora disciplina questo istituto, è stato oggetto di ampio dibattito sia in rela-zione ai suoi eventuali conflitti con il cosiddetto principio della indisponibilità dell’obbligazione tributaria e con alcune norme comunitarie, sia in relazione alla natura e all’ampiezza della discrezionalità che dovrebbe caratterizzare in questo ambito l’azione dell’Amministrazione finanziaria. Quanto ai conflitti, con il tempo è stato chiarito che il ciato art. 182-ter è del tutto legittimo sotto ogni profilo; quanto alla discrezionalità del Fisco, è da ritenersi che essa sia assai limitata, sia nell’approvare sia nel rigettare le proposte formulate dai contribuenti, essendo vincolata ad attuare, tra tutte le soluzioni possibili, quella che consente il miglior soddisfacimento dei crediti erariali. Una conferma di questa tesi è rinvenibile nel Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, per i motivi esposti nel prosieguo.

2. Il principio della indisponibilità dell’obbligazione tributaria

Il principio dell’indisponibilità dell’obbligazione tributaria[1] è stato oggetto in dottrina di un ampio dibattito, alimentato anche dal fatto che le uniche disposizioni di diritto positivo che lo enunciano espressamente[2] sono state emanate anteriormente all’entrata in vigore della Costituzione italiana. Ci si riferisce all’art. 13 del R.D. 30 dicembre 1923, n. 3269 (interamente abrogato dall’art. 24 del D.L. 25 giugno 2018, n. 112), e all’art. 49 del R.D. 23 maggio 1924, n. 827. Quest’ultima disposizione, che fa parte del regolamento per l’esecuzione della legge sull’amministrazione del patrimonio e sulla contabilità generale dello Stato, stabilisce infatti quanto segue: “Nei contratti non si può convenire esenzione da qualsiasi specie di imposte o tasse vigenti all’epoca della loro stipulazione”.

Il concetto di indisponibilità nel diritto tributario può essere riferito (a seconda dei casi) al tributo, alla potestà impositiva, all’obbligazione tributaria o al credito tributario[3]. Tuttavia, con riguardo alla potestà normativa tributaria è direttamente l’art. 23 Cost. a sancire l’indisponibilità del tributo ovvero della potestà impositiva tramite la c.d. riserva di legge (o principio di legalità), venendo ivi stabilito che una prestazione patrimoniale può essere imposta unicamente con un atto avente forza di legge[4]: appare allora pacifico che il potere di istituire tributi, così come quello di abrogarli, è rimesso unicamente nelle mani del legislatore[5].

Il dibattito sulla indisponibilità che rileva ai fini di cui trattasi, dunque, non concerne la fonte dell’obbligazione tributaria, ma va ricondotto al credito tributario giuridicamente sorto in base a disposizioni di legge. In altri termini, il tema controverso è se e in quali termini sia conciliabile con il principio di indisponibilità del credito tributario l’attribuzione all’Amministrazione finanziaria del potere di rinunciare (in misura parziale) alla riscossione di un tributo definitivamente sorto. Quantomeno nell’ultimo ventennio la questione si è dunque incentrata sul principio di indisponibilità del credito erariale certo nell’an e nel quantum, ovvero sulla possibilità di rinunciare parzialmente alla sua riscossione in caso di manifesta inesigibilità dello stesso.

Al riguardo occorre innanzitutto evidenziare come, prima facie, una parte della dottrina sembra addirittura negare l’esistenza stessa di un principio di indisponibilità nel nostro ordinamento, laddove afferma che “non esistono ontologiche ragioni di principio per escludere la disponibilità del credito tributario una volta che questo sia concretamente sorto, a seguito del verificarsi dell’astratta fattispecie d’imposta. E in particolare, non esistono ragioni di principio contro l’ammissibilità della transazione nei rapporti tra contribuente e Fisco, dove ben può risultare conveniente per l’Amministrazione definire una lite già sorta o prevenire una lite che può sorgere, facendo qualche concessione alla parte privata in cambio della desistenza totale o parziale di questa dalle sue pretese, di guisa tale da presumersi sia contro l’eventualità che la lite, portata in sede contenziosa, si risolva a suo sfavore, sia contro i maggiori danni suscettibili di derivare dalla mancata composizione della controversia in via di accordo”[6]. A ben vedere, tuttavia, le considerazioni testé riportate si riferiscono alla legittimità degli istituti deflativi del contenzioso, la cui introduzione e regolamentazione sono dirette a favorire una definizione concordata del tributo la cui quantificazione sia controversa (quali l’accertamento con adesione e la conciliazione giudiziale), e non alla (diversa) questione della transigibilità o rinuncia parziale alla riscossione di un tributo la cui debenza e quantificazione siano, al contrario, pacifiche. In sostanza, il “credito tributario concretamente sorto” cui si riferisce detta corrente di pensiero è solo quello accertato dall’Agenzia delle entrate in maniera non ancora definitiva[7].

Ciò detto, sebbene in dottrina siano emerse molteplici e diversificate posizioni, gli autori che si sono occupati della questione risultano principalmente divisi tra chi attribuisce al principio di indisponibilità del credito tributario un fondamento costituzionale (a propria volta con una certa discordanza circa le disposizioni di riferimento) e chi, invece, lo inferisce da norme di rango ordinario.

Secondo la prima tesi, poiché il principio di indisponibilità del credito tributario troverebbe fondamento nella Costituzione italiana, al suo rispetto dovrebbe attenersi non solo l’Amministrazione finanziaria in sede di riscossione del tributo, ma anche lo stesso legislatore nella regolamentazione di tale fase, poiché nessuna legge di rango ordinario potrebbe legittimamente derogarvi.

In particolare, per alcuni autori il credito tributario si configurerebbe quale diritto indisponibile in sé, per effetto della funzione di riparto (in base alla capacità contributiva) conferita all’obbligazione tributaria dagli artt. 3 e 53 Cost. La possibilità di disporre di tale credito (nel senso di transigere o rinunciare) sarebbe suscettibile di cagionare una lesione degli interessi della collettività a favore dell’interesse di un singolo individuo, così finendo per sostituire i criteri di riparto definiti dal legislatore erga omnes con altri e diversi criteri individuati di volta in volta dalle autorità fiscali competenti[8]. In sostanza, anche in considerazione della “riserva di legge” di cui all’art. 23 Cost., all’indisponibilità del credito tributario conseguirebbe l’assenza di discrezionalità da parte dell’Amministrazione finanziaria, poiché l’esercizio della discrezionalità amministrativa implicherebbe invece la scelta, tra quelle possibili, della soluzione più conveniente per l’interesse pubblico (costituente l’interesse primario) in relazione gli altri interessi (secondari) coinvolti nel rapporto tributario, attraverso una loro contemperazione complessiva[9]; il che si traduce nella vincolatezza[10] che dovrebbe caratterizzare l’esercizio della funzione impositiva da parte della Pubblica amministrazione, al fine di rispettare il principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 Cost.

Così l’Amministrazione finanziaria, in virtù del principio di legalità, potrebbe applicare le norme tributarie con elasticità e discrezionalità solo con riguardo all’interpretazione delle stesse e con riferimento a fattispecie non tassativamente determinate dalla legge e del pari, in forza dei principi di capacità contributiva e di uguaglianza, non avrebbe possibilità di tenere conto – neppure per fini perequativi – degli interessi del privato specificamente coinvolti (per esempio, la salvaguardia dei livelli occupazionali), senza potersi discostare dalla misura del prelievo legislativamente prevista e quindi con esclusione – in questo ambito – di qualsiasi residuo spazio di discrezionalità “tributaria”[11].

Il principio di indisponibilità del credito erariale troverebbe dunque fonte negli artt. 2, 3, 23 e 53 della Costituzione, per il che sarebbe da qualificare come incostituzionale ogni legge che attribuisse all’Amministrazione finanziaria il potere di disporre dell’esistenza e dell’ammontare dell’imposta mediante trattamenti privilegiati a favore di contribuenti (quale sarebbe, peraltro, una legge avente ad oggetto i un “condono fiscale”)[12]. Attribuiscono altresì rango costituzionale al principio di indisponibilità del credito tributario coloro che ne individuano la fonte unicamente nella riserva di legge di cui al citato art. 23 Cost.: il credito tributario, quale credito derivante da una prestazione imposta dalla legge, non potrebbe essere trattato come un qualsiasi credito derivante da un’obbligazione di diritto privato, ma, in quanto tale, sarebbe insuscettibile di modifica da parte dell’Amministrazione finanziaria[13].

Ancora, v’è chi radica l’indisponibilità del credito tributario negli artt. 3 e 97 Cost., rilevando come il bilanciamento del principio di uguaglianza (da un lato) e del principio di imparzialità dell’azione amministrativa (dall’altro) vietino all’Amministrazione finanziaria di disporre del credito tributario[14]. Questa tesi, poiché intravede nel suddetto principio un vincolo all’attività svolta dall’Amministrazione finanziaria nella riscossione del tributo, in realtà ammette che il legislatore possa regolamentare in ordine alla possibilità di disporre del credito tributario, ancorché giuridicamente sorto, ma è dunque unicamente entro gli stringenti limiti sanciti dal legislatore che le autorità fiscali potrebbero esercitare il potere di rinunciare alla riscossione (parziale) di un tributo, allorché ciò risulti maggiormente conveniente per le casse erariali (in quanto eviterebbe di sostenere inutilmente ingenti spese per il recupero di tributi in capo a contribuenti incapienti). In questi termini viene utilizzata la locuzione “disponibilità ‘controllata’ del credito tributario[15] con riguardo al primo provvedimento legislativo che – come vedremo – attribuì all’Amministrazione finanziaria il potere di rinunciare alla riscossione di una parte dei crediti erariali, vale a dire l’art. 3, comma 3, del D.L. 8 luglio 2002, n. 138 (c.d. Transazione dei ruoli).

In giurisprudenza la Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per il Piemonte (parere n. 15/2007), sembra avere sostanzialmente condiviso tutte le diverse posizioni sopra richiamate, affermando (in maniera unificante) che “il principio dell’indisponibilità dell’obbligazione tributaria trova fondamento nei principi costituzionali di capacità contributiva (art. 53, comma 1) ed imparzialità nell’azione della Pubblica amministrazione (art. 97), espressione entrambi del più generale principio di eguaglianza nell’ambito dei rapporti tributari. Il principio dell’indisponibilità dell’obbligazione tributaria risulta dunque derogabile soltanto in forza di disposizioni di legge eccezionali (come tali da interpretarsi restrittivamente) che, nel rispetto del principio di legalità e operando un bilanciamento fra esigenze contrastanti, sacrificano gli interessi tutelati dagli artt. 53 e 97 della Costituzione, in favore di altri interessi, costituzionalmente garantiti, di rango pari o poziore”.

Sotto il profilo degli effetti la posizione declamata dalla Corte dei conti si rivela peraltro vicina a quella (diversa) corrente di pensiero secondo cui, invece, il principio dell’indisponibilità dell’obbligazione tributaria resterebbe privo di una effettiva copertura costituzionale, essendo previsto unicamente da una disposizione di rango ordinario (art. 49, R.D. n. 827/1924), come peraltro rilevato dalla Corte di cassazione con la sentenza 16 marzo 2001, n. 12314; dal che conseguirebbe che detto principio può essere legittimamente derogato sulla base di altra disposizione di pari rango[16]. È stato infatti osservato, con riguardo alla riscossione di crediti erariali certi, che “l’Ufficio non deve valutare se concedere una riduzione del carico tributario all’imprenditore in crisi, bensì valutare se, accettandola, la collettività può incassare una maggiore percentuale rispetto all’alternativa fallimentare … Dunque l’Ufficio agirebbe … in base alla propria autonomia amministrativa, nell’ambito strettamente definito dall’art. 97 della Costituzione, ossia nell’ambito del principio del buon andamento della Pubblica amministrazione e non modificando, ad personam, l’obbligo tributario di un determinato contribuente”[17]. A questa impostazione sembra essersi richiamata, in particolare, l’Agenzia delle entrate con le circolari 4 marzo 2005, n. 8/E, e 18 aprile 2008, n. 40/E, nel sostenere che la transazione fiscale costituisce una (legittima) deroga al generale principio di indisponibilità del credito tributario, la cui applicazione, ancorché per perseguire finalità di pubblico interesse, non è però suscettibile di interpretazione analogica o estensiva proprio in quanto derogatoria di regole generali[18].

La mancanza di una rilevanza costituzionale del precetto in commento è stata affermata in alcune pronunce di merito[19], nonché dalla Corte di cassazione con le sentenze n. 22931 e n. 22932 del 4 novembre 2011 (sulle quali peraltro si avrà modo di ritornare ampiamente), secondo cui l’indisponibilità del credito tributario “esiste nella misura in cui la legge non vi deroghi e non sono certo estranee all’ordinamento ipotesi di rinuncia dell’Amministrazione all’accertamento (i cosiddetti ‘condoni tombali’) o alla completa esazione dell’accertato in vista di finalità particolari”. Ad onor del vero, sulla reale fonte normativa (costituzionale o meno) del principio di indisponibilità del credito tributario i giudici delle leggi non si sono ancora espressamente pronunciati, anche se, con la sentenza 15 luglio 2014, n. 225 della Corte costituzionale, è stato testualmente sancito che “la norma interna in materia di transigibilità del credito IVA è, di per sé, disciplina eccezionale rispetto al principio dell’indisponibilità della pretesa erariale”, così riconoscendo che esso costituisce un principio fondante del nostro ordinamento, ma al contempo che può essere derogato da una norma di rango ordinario[20].

La citata sentenza n. 225/2014 è intervenuta anche su un altro profilo di cui il legislatore deve tenere conto nel legiferare in tema di rinuncia alla riscossione del credito, ovverosia i vincoli discendenti dalla normativa europea.

Ci si riferisce in particolare al tema della “intangibilità” dell’IVA (che secondo un certo indirizzo sarebbe stato) imposto dagli artt. 2 e 22 della VI Direttiva e dall’art. 10 del Trattato CEE, i quali vietano agli Stati membri di disporre una rinuncia generale, indiscriminata e preventiva al diritto di procedere ad accertamento e alla verifica dell’IVA. Tale tema (su cui si tornerà più avanti) si deve, in realtà, alla nota pronuncia con cui la Corte di Giustizia UE[21] dichiarò l’illegittimità delle disposizioni “condonistiche” contenute nella Legge 27 dicembre 2002, n. 289, nella parte in cui estendevano il beneficio all’IVA. Secondo i giudici, infatti, tali disposizioni si risolvevano in una rinuncia generale ed indiscriminata all’esazione dell’imposta dichiarata o della maggiore imposta accertabile, in violazione del principio di neutralità e delle norme pattizie.

Del pari il legislatore nazionale non può disporre la rinuncia generale e indiscriminata al recupero degli “aiuti di Stato”, ovverosia delle “agevolazioni fiscali selettive” (destinati a specifici segmenti di attività imprenditoriali o a specifici territori) erogate o concesse oltre i limiti previsti dagli artt. 107 e 108 del Trattato CE. Tali aiuti sono vietati in quanto, favorendo alcune imprese a danno di altre, possono essere potenzialmente distorsivi della libera concorrenza all’interno del mercato comune (le suddette misure sono perciò oggetto di continuo monitoraggio da parte della Commissione europea)[22].

Più in generale il divieto di rinuncia si rinviene nell’ottavo considerando della Direttiva del Consiglio CE, 28 novembre 2006, n. 2006/112/CE, in forza del quale “il bilancio delle Comunità europee, salvo altre entrate, è integralmente finanziato da risorse proprie delle Comunità. Dette risorse comprendono, tra l’altro, quelle provenienti dall’IVA, ottenute applicando un’aliquota comune ad una base imponibile determinata in modo uniforme e secondo regole comunitarie”. Tra le risorse proprie dell’Unione Europea, in quanto oggetto di devoluzione alla stessa, rientrano anche (i) i prelievi sugli scambi con Paesi terzi nell’ambito della politica agraria comune, nonché contributi nel settore dello zucchero, e (ii) i dazi della tariffa doganale comune sui prodotti rientranti nel trattato istitutivo della CECA applicati sulle merci importate ed esportate.

  1. La “transazione dei ruoli”

Un primo (timido) tentativo di scardinare il dogma dell’indisponibilità del credito tributario fu operato dal legislatore con l’art. 3, comma 3, del D.L. 8 luglio 2002, n. 138, che disponeva quanto segue: “L’Agenzia delle entrate, dopo l’inizio dell’esecuzione coattiva, può procedere alla transazione dei tributi iscritti a ruolo dai propri Uffici il cui gettito è di esclusiva spettanza dello Stato in caso di accertata maggiore economicità e proficuità rispetto alle attività di riscossione coattiva, quando nel corso della procedura esecutiva emerga l’insolvenza del debitore o questi è assoggettato a procedure concorsuali. Alla transazione si procede con atto approvato dal Direttore dell’Agenzia, su conforme parere obbligatorio della Commissione Consultiva per la riscossione di cui all’art. 6 del Decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112, acquisiti altresì gli altri pareri obbligatoriamente prescritti dalle vigenti disposizioni di legge. I pareri si intendono rilasciati con esito favorevole decorsi 45 giorni dalla data di ricevimento della richiesta, se non pronunciati espressamente nel termine predetto. La transazione può comportare la dilazione del pagamento delle somme iscritte a ruolo anche a prescindere dalla sussistenza delle condizioni di cui all’art. 19, commi 1 e 2, del Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602”.

Con tale disposizione per la prima volta veniva affrontato in via legislativa il tema dell’attribuzione all’Agenzia delle entrate del potere di rinunciare parzialmente alla riscossione di tributi “certi” nell’an e nel quantum, allorché la prosecuzione dell’attività di riscossione si sarebbe rivelata sostanzialmente infruttifera in considerazione della sostanziale inesigibilità degli stessi, restando così foriera solo di ulteriori costi.

L’innovazione, chiaramente riferita al citato principio di buon andamento della Pubblica amministrazione sancito dall’art. 97 Cost., apparì talmente radicale che l’Agenzia delle entrate, prima di emanare la circolare illustrativa 4 marzo 2005, n. 8/E, ritenne opportuno acquisire il preventivo parere del Consiglio di Stato su alcuni aspetti ritenuti determinanti nonché il parere della Commissione Consultiva per la riscossione, ai sensi dell’art. 6, comma 2, del D.Lgs. 13 aprile 1999, n. 112.

In considerazione del termine “transazione” utilizzato dal legislatore, il nuovo istituto fu configurato alla stregua del contratto tipico previsto dall’art. 1965, comma 1, c.c., sebbene non fosse chiaro quale tipo di concessioni avrebbe potuto riconoscere il debitore. Secondo il Consiglio di Stato, “la norma lascia emergere con chiarezza le linee portanti del nuovo istituto che consente – al verificarsi delle condizioni date – di concludere un ragionevole accordo transattivo che, senza incidere sulla materia imponibile ma in deroga al tradizionale principio della indisponibilità del credito tributario, rende possibile per l’Amministrazione finanziaria conseguire un più proficuo introito rispetto a quello ottenibile dallo sviluppo delle procedure esecutive. L’interesse pubblico perseguito induce pertanto a ritenere che il peculiare accordo, con effetti transattivi, introdotto dalla norma sia idoneo ad esplicare i suoi effetti non solo nel caso di sussistenza di liti attuali, instaurate in tema di rapporti tributari sfociati nella iscrizione a ruolo, ma, in attuazione del principio di economicità dell’azione amministrativa, estenda la sua portata a tutti i crediti tributari derivanti da iscrizioni a ruolo nei confronti di contribuenti rivelatisi insolventi, evitando in tal modo la stessa insorgenza di episodi contenziosi”.

In realtà, secondo l’indirizzo prevalente, l’accordo transattivo presentava ben poche delle caratteristiche proprie della transazione, in quanto non si sostanziava in reciproche concessioni al fine di evitare il sorgere di una lite o di porvi fine né poteva avere ad oggetto una res dubia o litigiosa, bensì risolvendosi nella remissione sic et simpliciter di una quota dei crediti erariali da parte dell’Amministrazione finanziaria; ciò in virtù della situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell’impresa debitrice, della consistenza patrimoniale della stessa e della presenza di asset su cui rivalersi in maniera proficua in sede di riscossione, dell’analisi degli effetti sulle ragioni erariali derivanti dall’eventuale ricorso a procedure concorsuali da parte del debitore e, nel complesso, della convenienza economica per le casse dello Stato a sottoscrivere l’accordo transattivo. In altri termini, l’Amministrazione finanziaria doveva ponderare se riscuotere il proprio credito mediante la procedura di esecuzione forzata (con conseguente rischio di fallimento del debitore) oppure se accettare la modalità di pagamento – ridotta e/o dilazionata – proposta dal debitore insolvente[23]. Secondo un altro indirizzo, invece, il richiamo testuale alla transazione avrebbe dovuto essere riferito proprio alla transazione disciplinata dall’art. 1965 c.c., sicché, richiedendo la sussistenza di una lite, avrebbe potuto riguardare solo i ruoli sub iudice, in relazione ai quali il credito erariale avrebbe dovuto rappresentare una mera pretesa impositiva[24].

In ogni caso la transazione poteva riguardare unicamente la chiusura delle pendenze relative alla fase della riscossione, per il conseguimento di un risultato più proficuo rispetto a quello conseguibile coattivamente, mentre non avrebbe potuto riguardare debiti non iscritti a ruolo né controversie incardinate dinanzi alle Commissioni tributarie o ad altro giudice (se non tramite rinuncia alla lite da parte del debitore). Infatti, essa poteva riguardare soltanto i crediti d’imposta derivanti da tributi iscritti a ruolo dagli Uffici dell’Agenzia “il cui gettito è di esclusiva spettanza dello Stato”, con conseguente esclusione dei tributi di spettanza di enti territoriali (sebbene accertati e riscossi dall’Agenzia delle entrate in forza di apposite convenzioni), nonché dei tributi che, seppur disciplinati da leggi statali, davano luogo ad un gettito di esclusiva competenza di altri enti impositori a favore dei quali si determinava il conseguente incremento patrimoniale (tributi locali, tasse automobilistiche, addizionali regionali e comunali, ecc.). Tuttavia, era richiesta l’integrale estinzione, al momento della stipula dell’accordo, di tutti gli eventuali debiti iscritti a ruolo per i quali non era possibile accedere alla transazione.

Inoltre, la possibilità di rinunciare parzialmente alla riscossione del credito tributario era subordinata al presumibile esito negativo o infruttuoso delle procedure esecutive a carico del debitore, assumendo già all’epoca rilevanza dirimente il principio dell’economicità dell’azione amministrativa. In particolare, si poteva procedere alla transazione “dopo l’inizio dell’esecuzione coattiva (…) quando nel corso della procedura esecutiva emerga l’insolvenza del debitore”, resa manifesta da inadempimenti ed altri fatti esteriori i quali dimostrassero che il debitore non era più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni (procedimenti esecutivi mobiliari e/o immobiliari avviati da terzi creditori, iscrizioni di ipoteche giudiziali e di ricorsi per fallimento, ecc.), oppure quando il debitore fosse assoggettato a procedure concorsuali.

Secondo l’Agenzia delle entrate (e gli organi aditi), la realizzazione della transazione avrebbe dato origine ad un atto dispositivo soggetto alle regole generali dettate in tema di revocatoria nell’ipotesi di successivo fallimento del contribuente, pur riguardando il pagamento di imposte scadute. Poiché l’Agenzia avrebbe potuto essere chiamata a restituire le somme percepite nel “periodo sospetto”, con la circolare n. 8/E/2005 fu dunque esclusa la possibilità di concludere accordi transattivi con imprenditori assoggettabili al fallimento, a meno che l’accordo proposto all’Agenzia non risultasse inserito in un piano di ristrutturazione dell’impresa, con il coinvolgimento di tutti i creditori (e con l’ulteriore condizione che i creditori assistiti da privilegio di grado pari o superiore a quello dell’Erario dovessero esprimere il loro assenso all’accordo proposto all’Agenzia).

Per questi motivi l’utilizzo della “transazione dei ruoli” è risultato assolutamente limitato[25][26].

  1. Transazione fiscale e discrezionalità amministrativa

Le pesanti critiche mosse alla normativa disciplinante la transazione sui ruoli, le stringenti limitazioni da essa previste, la scarna regolamentazione dell’istituto e i rilevanti dubbi sulla sua applicazione conseguentemente emersi nella sostanza ne ostacolarono drasticamente l’utilizzo, inducendo il legislatore a ripensare profondamente tale istituto[27]. Con il D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, nell’ambito della prima riforma organica della Legge fallimentare, dichiaratamente diretta appunto a evitare il fallimento delle imprese a favore di soluzioni negoziali delle loro crisi, fu quindi introdotto l’istituto della transazione fiscale tramite l’inserimento – nella legge fallimentare – dell’art. 182-ter (rubricato “Transazione fiscale”), venendo al contempo abrogato l’art. 3, comma 3, del citato D.L. n. 138/2002.

Con tale istituto il legislatore ha finalmente coniato una disposizione normativa che, in applicazione del principio di buon andamento e imparzialità della Pubblica amministrazione (di cui all’art. 97 Cost.), consente espressamente a quest’ultima di derogare al principio di indisponibilità (più precisamente) del credito tributario e, quindi, di accettare un pagamento parziale dello stesso con liberazione del debitore per la parte del credito rimasta insoddisfatta.

Per questa ragione l’art. 182-ter l.f. fu tacciato di incostituzionalità da chi attribuiva al principio di indisponibilità del credito tributario rango costituzionale, che non avrebbe quindi potuto essere derogato da un provvedimento normativo di rango ordinario[28]. La nuova disposizione fu invece accolta benevolmente da chi, pur attribuendo fonte costituzionale al citato principio, riteneva la norma perfettamente legittima, in quanto lo contemperava con quello, di pari rango, sancito dal citato art. 97 Cost.[29], nonché – chiaramente – da chi non attribuiva un rango costituzionale al principio di indisponibilità del credito tributario.

Sotto il primo profilo, in particolare, l’art. 182-ter è stato ritenuto non in contrasto con i principi costituzionali di capacità contributiva, riserva di legge e uguaglianza nel consentire all’Amministrazione finanziaria di negoziare i termini dell’assolvimento del credito tributario, dovendosi nettamente distinguere l’insorgenza del credito tributario (ovverosia dell’imposta) dalla fase della sua riscossione. A questa conclusione giungono:

  1. a) sia la dottrina che non ravvisa l’esercizio di un potere discrezionale quando “la decurtazione opera in relazione alla funzione prettamente satisfattoria propria dell’attività di riscossione, ed a seguito del necessario compromesso tra fiscalità e regole concorsuali, in conseguenza della impossibilità della piena soddisfazione di tutti i creditori per lo stato di crisi in cui versa l’imprenditore – contribuente”[30];
  2. b) sia la dottrina secondo cui il potere/dovere conferito all’Amministrazione finanziaria di trattare le proposte di transazione fiscale, di accettarle o respingerle, comporta valutazioni dai contorni indefiniti (quali il giudizio circa la probabilità di riscuotere le imposte in base al grado di solvibilità futura del contribuente), che nulla avrebbero a che vedere con il concetto di “discrezionalità amministrativa” (che investe il bilanciamento di interessi pubblici con quelli privati), né con quello di “discrezionalità tecnica” (che concerne l’applicazione di norme tecniche circa la determinazione del tributo o la sua riscossione), talché “la decisione da assumere ai sensi dell’art. 182-ter è ascrivibile, sul piano logico, all’indisponibilità rovesciata perché, se c’è ‘stato di crisi’, la previsione sull’effettivo incasso futuro del tributo è sempre una questione ‘controvertibile all’infinito’” e deve essere adottata secondo il criterio del “male minore” (o proportionality) in considerazione della situazione di obiettiva incertezza che la caratterizza[31];
  3. c) sia, infine, la dottrina che rinviene nel suddetto potere/dovere profili di discrezionalità (tuttavia non indeterminati), quando, ai sensi dell’art. 182-ter, “l’Amministrazione sia chiamata ad effettuare una complessa serie di valutazioni, tra cui la comparazione del risultato ottenibile all’esito della transazione con il minor gettito che deriverebbe dal fallimento dell’impresa”, pervenendo, in ossequio del principio di buon andamento di cui all’art. 97 Cost., “ad una ricostruzione il più oggettiva possibile della dimensione qualitativa e quantitativa del presupposto onde garantire il giusto riparto”[32].

Quest’ultimo orientamento osserva, in particolare, come nell’esercizio di detto potere discrezionale l’Amministrazione finanziaria debba “effettuare un contemperamento tra il primario interesse pubblico alla puntuale applicazione del tributo e altri interessi extrafiscali, quali, ad esempio, l’occupazione o la convenienza dell’esercizio dell’impresa (…) onde adottare delle soluzioni che, pur nel rispetto dei principi di legalità e riserva di legge, tutelino, seppur in misura minore, un interesse erariale che con tutta evidenza non sarebbe in toto soddisfabile” in considerazione dello stato di crisi del contribuente[33]. D’altro canto, la quantificazione partecipata del tributo in sede di transazione fiscale, in conseguenza delle valutazioni effettuate e del bilanciamento degli interessi in gioco, garantendo una maggiore certezza del pagamento del debito tributario (ancorché in misura parziale), costituisce espressione “non solo di ragionevole riparto del carico, ma anche di eguaglianza e giustizia tributaria[34].

A questo riguardo appare opportuno considerare anche quanto affermato dall’Agenzia delle entrate con la circolare 26 aprile 2010, n. 20/E: “in presenza di situazioni di crisi aziendale, sia prodromiche alla dichiarazione di fallimento sia evidenziate in una proposta di concordato preventivo, lo strumento transattivo può infatti rivelarsi decisivo per garantire l’effettivo introito di somme dovute all’Erario in misura certamente superiore (ed in tempi ovviamente ben più rapidi) rispetto a quanto potrebbe avvenire con le ordinarie modalità di riscossione, in caso di fallimento del contribuente”.

Ne discende, in ogni caso, che all’Amministrazione finanziaria è attribuito il potere di consentire – attraverso l’adesione alla proposta formulatale dal debitore – la riduzione di crediti tributari precedentemente sorti, purché ciò sia necessario per conseguire il miglior recupero degli stessi, in considerazione della situazione di crisi finanziaria in cui si trova il contribuente-debitore. A ben vedere non si tratta, quindi di una vera e propria discrezionalità, ma di una “discrezionalità vincolata” o, come già si è rilevato, di una “discrezionalità controllata”, da cui deriva, a seconda del contenuto della proposta di transazione e dello stato del contribuente che la formula, non una libertà di scelta, ma il potere/dovere dell’Amministrazione finanziaria di respingere tale proposta, quando essa non è conveniente o non rispetta le previsioni dell’art. 182-ter, e di accettarla quando invece, oltre a rispettare tale previsioni, è più conveniente delle alternative possibili; ciò in applicazione del principio del buon andamento della Pubblica amministrazione di cui all’art. 97 Cost. e sulla scorta dei criteri a tal fine stabiliti dal citato art. 182-ter, i quali delimitano, appunto, e rendono più oggettiva la decisione da assumere.

La predetta discrezionalità è peraltro tale da attribuire all’Amministrazione finanziaria anche il potere di transigere le controversie aventi a oggetto l’eventuale rigetto della proposta di transazione fiscale ovvero il reclamo, presentato dall’Agenzia delle entrate, avverso il decreto di omologazione di un concordato preventivo approvato con le maggioranze dei creditori di cui all’art. 177 l.f. nonostante il voto contrario del Fisco e, dunque, a dispetto del rigetto della proposta di transazione fiscale. Tale potere, infatti, non è qualcosa di diverso da quello che all’Amministrazione finanziaria compete per provvedere in merito alla mera domanda di transazione fiscale, ma attiene alla definizione del medesimo procedimento avviato con la presentazione della stessa. Del resto, non sussistono ragioni per consentire, da un lato, all’Agenzia delle entrate di definire – mediante la conciliazione o in autotutela – controversie aventi a oggetto la sussistenza stessa dell’obbligazione tributaria, cioè la debenza del tributo, e, dall’altro lato, di impedirle di definire una controversia che riguarda – più semplicemente – la sola riscossione del tributo. Anzi, trattandosi di “discrezionalità vincolata”, o comunque di una discrezionalità strumentale al conseguimento del miglior risultato possibile per l’Erario, sarebbe illogico che l’Amministrazione finanziaria avesse il potere di emettere sulla proposta di transazione fiscale un provvedimento errato (tale potendo risultare il rigetto della proposta) e non disponesse poi della possibilità di porre rimedio all’errore commesso ovvero non potesse riconsiderare la propria decisione alla luce di una proposta di accordo formulata dal contribuente che risulti per essa più vantaggiosa di quella originaria e tale da rimuovere i motivi che avevano giustificato la reiezione di quest’ultima.

  1. La soluzione adottata dal Codice della crisi d’impresa

Una conferma della tesi sopra sostenuta – circa la natura “vincolata” dell’azione dell’Amministrazione finanziaria concernente la transazione fiscale – pare provenire dal Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza introdotto dal D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, il cui art. 48 prevede, al comma 5, che “Il Tribunale omologa gli accordi di ristrutturazione anche in mancanza di adesione da parte dell’Amministrazione finanziaria quando l’adesione è decisiva ai fini del raggiungimento delle percentuali di cui all’art. 57, comma 1, e 60, comma 1 e quando, anche sulla base delle risultanze della relazione del professionista indipendente, la proposta di soddisfacimento della predetta Amministrazione è conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria” (con il decreto correttivo approvato dal C.d.M. il 13 febbraio 2020 è stata inoltre prevista l’estensione di tale previsione alla procedura di concordato preventivo). Pertanto, sulla base della disciplina introdotta con il Codice della crisi d’impresa e della insolvenza, l’accordo di ristrutturazione (e il concordato preventivo se il decreto correttivo entrerà in vigore) sarà omologabile anche in mancanza di adesione dell’Amministrazione finanziaria alla proposta di transazione fiscale, a condizione che questa sia più conveniente per l’Erario rispetto alla liquidazione dell’impresa debitrice e tale adesione – come il più delle volte accade – risulti decisiva (“determinante”, alla luce del correttivo) al fine del raggiungimento delle percentuali del 60% (o del 30% in taluni casi) dei crediti stabilite per la omologabilità dell’accordo stesso (ovvero, con riguardo al concordato preventivo, al fine del raggiungimento delle maggioranze previste dall’art. 177 l.f.).

La predetta disposizione pare quindi confermare che, nell’esame delle proposte di transazione fiscale, l’azione dell’Amministrazione finanziaria è “vincolata” nel senso sopra precisato, tant’è che, con riguardo al caso in cui i vincoli che la condizionano e delimitano non siano rispettati, è previsto uno specifico rimedio giurisdizionale – ben più chiaro ed efficace di quello (più teorico che reale) cui attualmente può farsi ricorso in analoghe circostanze -, consistente nell’attribuzione al giudice fallimentare del potere/dovere di assumere, in conformità alle suddette disposizioni – la decisione che l’Agenzia delle entrate ha omesso di adottare ovvero di modificare quella da quest’ultima erroneamente adottata.

*Per un approfondimento dei temi trattati sia consentito il rinvio alla monografia “Transazione fiscale e crisi d’impresa” di Giulio Andreani e Angelo Tubelli, Wolters Kluwer, 2020.

[1] Sul principio (o “dogma”) dell’indisponibilità dell’obbligazione tributaria si vedano ex multis A.D. Giannini, “Circa l’inderogabilità delle norme regolatrici dell’obbligazione tributaria”, in Rivista di diritto finanziario, 1953, pag. 291; F. Gallo, “Ancora sul neoconcordato e sulla conciliazione giudiziale”, in Rass. trib., n. 10/1994, pag. 1483; M. Redi, “Appunti sul principio di indisponibilità del credito tributario”, in Dir. prat. trib., n. 2/1995, I, pag. 429; M. Miccinesi, “Accertamento con adesione e conciliazione giudiziale”, in AA.VV., M. Miccinesi (a cura di) Commento agli interventi di riforma tributaria, Padova, 1999, pag. 7; A. Cuva, Conciliazione giudiziale e indisponibilità dell’obbligazione tributaria, Padova, 2007, pag. 3; F. Crovato – R. Lupi, “Indisponibilità del credito tributario, contabilità pubblica e giustizia tributaria”, in Dialoghi dir. trib., n. 6/2007, pag. 853; A. Fantozzi, “La teoria dell’indisponibilità dell’obbligazione tributaria”, in AA.VV., M. Poggioli (a cura di) Adesione, conciliazione e autotutela: disponibilità o indisponibilità dell’obbligazione tributaria?, Padova, 2007, pag. 49; G. Falsitta, “Natura e funzione dell’imposta, con speciale riguardo al fondamento della sua ‘indisponibilità’“, in AA.VV., S. La Rosa (a cura di) Profili autoritativi e consensuali del diritto tributario, Milano, 2008, pag. 56; P. Russo, “Imponibilità del tributo e definizioni consensuali delle controversie”, in Rass. trib., n. 3/2008, pag. 614; A. La Malfa, “Rapporti tra la transazione fiscale e il concordato preventivo”, in Corr. Trib., n. 9/2009, pag. 706; A. Guidara, Indisponibilità del tributo e accordi in fase di riscossione, Milano, 2010, pag. 61; S. La Rosa, Principi di diritto tributario, Feltrinelli, 2020, pag. 239.

[2] A ben vedere, lo stesso termine “indisponibilità” necessita di una previa definizione. In un’ottica giuridica esso indica l’impossibilità di negoziare, rinunciare, transigere e più in generale di rendere oggetto di azioni giuridiche un determinato diritto soggettivo. In merito al concetto di (in)disponibilità giuridica, quale atto produttivo di effetti costituitivi, modificativi ed estintivi di un rapporto giuridico, si vedano A. La Malfa – F. Marengo, Transazione fiscale e previdenziale, Maggioli, 2010, pagg. 23-26; M. Allena, La transazione fiscale nell’ordinamento tributario, Padova, 2017, pag. 14 ss.

[3] Cfr. al riguardo (anche per gli ampi riferimenti bibliografici) M. Allena, cit., pag. 21, nota n. 47; A. La Malfa – F. Marengo, cit., pag. 27.

[4] La nozione di “tributo” rientra in quella (più ampia) di “prestazione patrimoniale”. Cfr. per tutti G. Falsitta, Manuale di diritto tributario, Parte generale, Padova, 2010, pag. 149. Sulla funzione del tributo quale indispensabile strumento di politiche distributive e della capacità contributiva come mero criterio (fiscale) di riparto, si veda F. Gallo, “Nuove espressioni di capacità contributiva”, in Rass. trib., n. 4/2015, pag. 771 ss.

[5] Sui vincoli costituzionali che delimitano l’azione del legislatore si vedano, fra gli altri, S.F. Cociani, “Attualità e declino del principio di capacità contributiva”, in Riv. dir. trib., n. 7-8/2004, pag. 823; G. Falsitta, “Il doppio concetto di capacità contributiva”, in Riv. dir. trib., n. 7-8/2004, pag. 889; G. Gaffuri, “Il senso della capacità contributiva”, in AA.VV., L. Perrone – C. Berliri (a cura di) Diritto tributario e Corte costituzionale, ESI, 2006, pag. 31; A. Fedele, “La funzione fiscale e la capacità contributiva”, in AA.VV., Diritto tributario e Corte costituzionale, cit., pag. 11; F. Moschetti, “Il principio di capacità contributiva, espressione di un sistema di valori che informa il rapporto tra singolo e comunità”, in AA.VV., L. Perrone – C. Berliri (a cura di) Diritto tributario e Corte costituzionale, cit., pag. 46; P. Boria, “Il bilanciamento di interesse fiscale e capacità contributiva nell’apprezzamento della Corte costituzionale”, in AA.VV., L. Perrone – C. Berliri (a cura di) Diritto tributario e Corte costituzionale, cit., pag. 64; F. Gallo, Le ragioni del fisco, Il Mulino, 2007, pag. 82; I. Manzoni – G. Vanz, Il diritto tributario. Profili teorici e sistematici, Giappichelli, 2007, pag. 40.

[6] Così testualmente P. Russo, “Indisponibilità del tributo e definizioni consensuali delle controversie”, in AA.VV., S. La Rosa (a cura di) Profili autoritativi e consensuali del diritto tributario, Milano, 2008, pag. 595 ss.

[7] In effetti le discussioni in ordine al principio di indisponibilità in campo tributario avevano riguardato, specialmente all’inizio, il c.d. concordato disciplinato dall’art. 34 del D.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645 (T.U.I.D.). Secondo G. La Croce, La transazione fiscale, Wolters Kluwer, 2011, pagg. 42-47, questo istituito costituì la prima forma di rinuncia (da parte del legislatore) al principio di indisponibilità della pretesa tributaria da parte dell’Amministrazione finanziaria “in cambio” della certezza e tempestività della riscossione del tributo; il che era dovuto a un ordinamento in cui l’assolvimento dell’obbligo della contribuzione alle spese pubbliche, in ragione della capacità contributiva, avveniva in forza di un’attività della Pubblica amministrazione.

[8] Così G. Falsitta, cit., pagg. 344-346. In senso conforme anche A.D. Giannini, cit., pag. 291; F. Paparella, “Le situazioni giuridiche e le loro vicende”, in AA.VV., A. Fantozzi (a cura di) Diritto tributario, UTET, 2014, pag. 484 ss.; E. Stasi, “La transazione fiscale”, in il fallimento e le altre procedure concorsuali, 2008, pag. 735; M. Cardillo, “La transazione fiscale: problemi e possibili soluzioni”, in Dir. prat. trib., n. 5/2012, pag. 1148. Concorda sostanzialmente con questa impostazione M.T. Moscatelli, Moduli consensuali e istituti negoziali nell’attuazione della norma tributaria, Aracne, 2007, pag. 121 ss., che incentra il concetto di indisponibilità del credito tributario sul principio di capacità contributiva sancito dall’art. 53 Cost., “il cui rispetto costituisce il limite ed il riferimento per l’Amministrazione finanziaria nell’adozione di modalità di attuazione del tributo che si avvalgano del consenso del contribuente”. Secondo G. La Croce, cit., pagg. 46-48, con il passaggio a un sistema di autoliquidazione del tributo da parte dei contribuenti dovuto alla riforma del 1973, il principio di indisponibilità della pretesa tributaria sarebbe risultato rafforzato, essendo venute meno le esigenze di gettito che avevano giustificato – in vigenza del T.U.I.D. del 1958 – la negoziazione della pretesa tributaria, diventando, “proprio per la sua derivazione costituzionale, l’antidoto contro la disgregazione nazionale e l’affermazione dei principi di non discriminazione”, comuni con l’obbligatorietà dell’azione penale.

[9] La discrezionalità amministrativa è connotata sia da un atto espressivo di un “giudizio” (nella ponderazione dei diversi interessi tra loro concorrenti), sia da un atto espressivo di una “volontà” (nel tipo di scelta effettuata). Sul concetto di discrezionalità amministrativa si vedano, in particolare, F. Gallo, “Discrezionalità (diritto tributario)”, in Enciclopedia del diritto, 1999, pag. 536 ss.; M.S. Giannini, Il potere discrezionale della Pubblica amministrazione. Concetto e problemi, Milano, 1993, pag. 45 ss.; L. Perrone, Discrezionalità e norma interna nell’imposizione diretta, Milano, 1963, pagg. 73-74.

[10] La vincolatezza, infatti, corrisponde all’esatto contrario della discrezionalità, perché impone l’assunzione, da parte della Pubblica amministrazione, del provvedimento amministrativo senza poter tenere in alcuna considerazione interessi diversi da quello pubblico. Cfr. A. Guidara, “Discrezionalità e vincolatezza nell’azione dell’Amministrazione finanziaria”, in Atti del Convegno “Accordi e azione amministrativa nel diritto tributario”, Catania, 25-26 ottobre 2019, pag. 7.

[11] L’espressione “discrezionalità tributaria”, seppur sempre in un’ottica amministrativa, è utilizzata da M. Martis, Contributo allo studio della discrezionalità nel diritto tributario, ESI, 2018, pag. 18, la quale evidenzia come, nonostante la tendenziale vincolatezza dell’agire amministrativo e l’indisponibilità della pretesa tributaria, continuino comunque ad annidarsi ampi spazi di discrezionalità, specie nella fase procedimentale. Sul tema della discrezionalità nel diritto tributario si veda anche G. Di Toma, La discrezionalità dell’azione amministrativa in ambito tributario, Padova, 2012.

[12] Anche da questa posizione si riconosce pertanto la piena legittimità degli istituti dell’accertamento con adesione e della conciliazione giudiziale, che intervengono in una fase del rapporto in cui il credito tributario è ancora incerto sia nella sua esistenza sia nel suo ammontare e che, dunque, non comportano una rinuncia o non integrano un atto di disposizione dello stesso.

[13] Cfr. A. Guidara, Indisponibilità del tributo e accordi in fase di riscossione, cit., pag. 130 ss.

[14] Si vedano in particolare M. Miccinesi, cit., pag. 5; M. Allena, cit., pag. 42 ss.

[15] Cfr. M. Allena, cit., pag. 37.

[16] Cfr. S. La Rosa, cit., pag. 238; E. Mattei, “La transazione fiscale nel concordato preventivo e negli accordi di ristrutturazione dei debiti”, in AA.VV., L. Ghia – C. Piccininni – F. Severini (a cura di) Trattato delle procedure concorsuali, UTET, 4, 2011, pagg. 718 e 719; G. Verna, “La transazione fiscale quale sub-procedimento facoltativo del concordato preventivo”, in il fallimento e le altre procedure concorsuali, n. 6/2010, pag. 714; A. La Malfa, “Rapporti tra la transazione fiscale e il concordato preventivo”, in Corr. Trib., n. 9/2009, pag. 706; D. Stevanato, “Conferme sull’indisponibilità del credito tributario come regola di contabilità pubblica”, in Dialoghi Tributari, n. 3/2008, pag. 7 ss.; F. Crovato – R. Lupi, cit., pag. 853 ss.; L. Mandrioli, “Transazione fiscale e concordato preventivo tra lacune normative e principi generali del concorso”, in Quaderni di giurisprudenza, 2007, pag. 26.

[17] Così testualmente G. La Croce, cit., pag. 105.

[18] M. Versiglioni, “Transazione fiscale e principio generale di ‘indisponibilità rovesciata’“, in Diritto e processo tributario, n. 1/2015, pag. 109, esclude che la norma suddetta possa consistere in una “legge di principi (ossia una legge sottoposta a un regime di fissità tale da porla come norma intermedia tra quella costituzionale e quella ordinaria) dalla quale sia possibile ricavare un ‘principio di indisponibilità del credito tributario’ che possa porsi in contrasto” con la possibilità per l’Amministrazione finanziaria “di negoziare il pagamento del tributo in situazioni di controvertibilità all’infinito del tema costituito dal suo obiettivamente incerto e previamente non accertabile incasso futuro”.

[19] Cfr. App. Torino, 6 maggio 2010; App. Genova, 19 dicembre 2009; Trib. Monza, 15 aprile 2010; Trib. La Spezia, 1° luglio 2009.

[20] Secondo M. Allena, cit., pag. 88, tuttavia, l’intervento ordinario del legislatore potrebbe essere inteso come diretto ad assicurare la corretta attuazione dell’art. 97 Cost., sicché la pronuncia non escluderebbe necessariamente la derivazione costituzionale del principio de quo.

[21] Si tratta della sentenza 17 luglio 2008, causa C-132/06.

[22] Con la comunicazione n. 2007/C-207/05 la Commissione europea ha illustrato i principi fondamentali dell’attività di recupero degli aiuti di Stato dichiarati incompatibili con il mercato comune nonché il ruolo dello Stato membro in sede di esecuzione dei provvedimenti di recupero. Per una rassegna degli orientamenti adottati in materia dalla Commissione europea e delle sentenze della Corte di Giustizia UE si veda G. La Croce, cit., pag. 60 ss.

[23] Sotto questo aspetto la transazione dei ruoli di cui all’art. 3, comma 3, del D.L. n. 138/2002 era qualificata alla stregua di una rinuncia unilaterale alla riscossione coattiva dei ruoli oppure ricondotta al pactum ut minus solvatur, ovverosia al negozio solutorio con il quale il creditore, per ottenere soddisfazione, concorda con il debitore una riduzione dell’importo dovuto o una differente modalità di pagamento. Cfr. ex multis F. Brighenti, “Transazione dei tributi: nuovo corso o stravaganza normativa?”, in Boll. trib., 2002, pag. 1301; M. Basilavecchia, “La transazione dei ruoli”, in Corr. Trib., 2005, pag. 1217.

[24] Cfr. E. Belli Contarini, “La transazione con il Fisco sui ruoli della riscossione”, in Boll. trib., 2003, pag. 1466.

[25] Tra i pochi soggetti che ne hanno beneficiato si ricorda la “Società Sportiva Lazio Calcio”, dal che i nomi “Decreto salva Lazio” o “Decreto salva Calcio” usualmente attribuiti al D.L. n. 138/2002. Cfr. G. Dragoni, “Calcio, la Lazio evita il fallimento”, in Il Sole 24 – Ore del 25 marzo 2005; S. De Matteis – N. Graziano, Manuale del concordato preventivo, Maggioli, 2013, pag. 373.

[26] Comunque, a seguito delle modifiche recate all’art. 67 dal D.L. n. 35 del 14 marzo 2005, il rischio di subire un’azione revocatoria si era progressivamente ridotto. Cfr. V. Zanichelli, I concordati giudiziali, UTET, 2010, pagg. 257 e 258; M. Pollio, “La transazione fiscale”, in Fallimento e altre procedure concorsuali, n. 3/2009, pag. 1838; P. Panella, “L’incognita transazione fiscale”, ivi, 2009, pag. 644 ss.

[27] Cfr. L. Del Federico, “La transazione fiscale”, in A. Didone (a cura di) Le riforme delle procedure concorsuali, Milano, II, 2016, pag. 1868.

[28] In tal senso si vedano in particolare G. Falsitta, Giustizia tributaria e tirannia fiscale, Milano, 2008, pagg. 212 e 213; M. Beghin, “Giustizia tributaria e indisponibilità dell’imposta nei più recenti orientamenti dottrinali e giurisprudenziali. La transazione concordataria e l’accertamento con adesione”, in Riv. dir. trib., n. 11/2010, II, pag. 679.

[29] Come evidenziato in dottrina, infatti, pur avendo la indisponibilità del credito tributario una copertura costituzionale, “essa risulta comunque destinata a cedere di fronte ad esigenze imprescindibili di pari rilievo costituzionale, in un bilanciamento con altri interessi”. Così M. Allena, cit., pag. 198.

[30] Così testualmente M. T. Moscatelli, “Indisponibilità e discrezionalità [Dir. Trib.]”, in diritto on line, 2016, nonché “Crisi dell’impresa e debito tributario: riflessioni sulla transazione fiscale”, in Rass. trib., n. 5/2008, pagg. 1329-1331.

[31] Così M. Versiglioni, cit., pagg. 107-113, il quale annovera nel ramo dei casi controvertibili all’infinito la scelta dell’Agenzia delle entrate di accettare o rigettare la proposta di transazione fiscale e, perciò, utilizza l’espressione “indisponibilità rovesciata”, in quanto in tale ramo a dover essere ricercati non sarebbero gli spazi di discrezionalità dell’agire amministrativo, bensì all’opposto gli eventuali vincoli ad esso imposti. Tuttavia, attribuendo a detta scelta “una valenza meramente interna (giustificata dal fine della pronta e perequata esazione del tributo)”, l’Autore finisce per concludere che essa non sarebbe “sindacabile nel metodo, se correttamente attuata e motivata, e non sindacabile nel merito, stante l’obiettiva incertezza” e che, perciò, “l’eventuale diniego non parrebbe impugnabile dinanzi al giudice amministrativo”; invece (come si vedrà nei successivi capitoli) l’art. 182-ter l.f. detta criteri appositi cui l’Amministrazione si deve attenere per la valutazione della proposta e la scelta da operare al riguardo, tanto che essa è considerata (ora) pacificamente impugnabile dinanzi al giudice tributario.

[32] Così M. Martis, cit., pagg. 193-195. In tal senso anche F. Paparella, cit., pag. 507; M. Mauro, “La transazione fiscale nel labirinto delle norme e dei principi”, in M. Basilavecchia – S. Cannizzaro – A. Carinci (a cura di) Quaderni di riv. dir. trib., La Riscossione dei tributi, Milano, 2011, pag. 327 ss.; G. Marini, “Transazione fiscale”, in Rass. trib., n. 5/2010, pag. 1211; V. Ficari, “Riflessioni su ‘transazione’ fiscale e ‘ristrutturazione’ dei debiti”, in Rass. trib., n. 1/2009, pag. 70.

[33] Così ancora M. Martis, cit., pagg. 194 e 196.

[34] Così V. Ficari, “Transazione fiscale e disponibilità del credito tributario: dalla tradizione alle nuove ‘occasioni’ di riduzione ‘pattizia’ del debito tributario”, in Riv. dir. trib., n. 4/2016, pag. 493.