di Giulio Andreani

 

  1. Il lasso temporale intercorrente tra la data della certificazione dei crediti tributari e la sottoscrizione dell’accordo

Il lasso temporale compreso tra la data di presentazione della proposta di transazione fiscale, nell’ambito di un accordo di ristrutturazione dei debiti, e la data di  accettazione della stessa da parte dell’Agenzia è (purtroppo) molto ampio, variando in genere da sei a diciotto mesi; è ovviamente ancor più ampio quello decorrente dalla data di riferimento della situazione debitoria esposta nella proposta, atteso che per forza di cose tale situazione è necessariamente riferita a una data di qualche mese anteriore a quella di presentazione della domanda di transazione.

Ciò posto, è inevitabile che al momento di sottoscrizione dell’accordo sussistano debiti tributari ulteriori rispetto a quelli risultanti dalla predetta situazione, il cui trattamento dipende da vari fattori.

Al fine di limitare questa sorta di “limbo debitorio” che si crea tra tali diversi momenti, sulla base delle direttive impartite dalla Divisione Contribuenti, le competenti direzioni periferiche dell’Agenzia delle Entrate devono procedere ad aggiornare la certificazione dell’ammontare del credito tributario complessivo (inizialmente riferita alla situazione debitoria esposta nella proposta di transazione fiscale ovvero alla data di presentazione della proposta). Tuttavia l’aggiornamento di tale credito si rivela spesso un’attività in concreto laboriosa e non agevole, perché richiede la disponibilità, da parte dell’Amministrazione finanziaria, di informazioni tempestive e precise sugli ulteriori debiti erariali medio tempore sorti: se, ad esempio, la domanda viene presentata il 15 aprile di un certo anno, è evidente che il Fisco non ha alcuna conoscenza dei debiti maturati in tale anno e, per alcuni tributi, nemmeno di quelli maturati nell’anno precedente; tanto meno ha tempestiva conoscenza di quelli che eventualmente sorgono, dopo la presentazione della proposta, nelle more del procedimento che ne discende. Anzi, nella prassi comunemente riscontrabile la data di certificazione dei debiti tributari viene di regola individuata, nell’ambito di un accordo di ristrutturazione dei debiti fiscali, in quella di chiusura dell’anno precedente a quello del deposito della domanda di transazione fiscale, e sempre che le dichiarazioni fiscali relativamente a tale precedente annualità vengano presentate in tempo utile affinché l’Agenzia delle Entrate possa tener conto delle loro risultanze.

Inoltre, anche a prescindere dalla capacità di aggiornamento degli uffici dell’Agenzia delle Entrate e dalla volontà di collaborazione del contribuente, è impossibile che si verifichi una perfetta coincidenza tra l’ammontare dei crediti erariali oggetto di certificazione e quello effettivamente sussistente alla data di sottoscrizione della transazione fiscale, posto che (per quanto riducibile) sussiste sempre un arco temporale tra la data di riferimento della certificazione dei crediti rilasciata dall’Agenzia delle Entrate e quella di sottoscrizione della transazione fiscale, nel corso del quale, vista la situazione di crisi in cui versa l’impresa debitrice, possono maturare ulteriori debiti tributari.

  1. Il trattamento degli ulteriori debiti tributari sorti nelle more del procedimento

L’importo del debito tributario complessivo, oggetto della proposta di transazione fiscale, si rivela dunque fisiologicamente inferiore a quello sussistente alla data di sottoscrizione dell’atto di transazione fiscale, e ciò a maggior ragione nel caso in cui, come spesso accade, il debitore ometta di eseguire il pagamento di debiti tributari sorti successivamente alla data di riferimento di quelli esposti nella domanda di transazione fiscale.

Poiché in questa fattispecie, per forza di cose, gli ulteriori debiti fiscali maturati successivamente a una certa data non sono oggetto della transazione fiscale sottoscritta con l’Agenzia delle Entrate, occorre chiedersi quale debba essere il loro trattamento e, in particolare, se – anche con riguardo a essi – debba trovare applicazione la disposizione contenuta nel comma 1 dell’art. 182-bis L. Fall., secondo cui ai creditori estranei agli accordi di ristrutturazione il debitore deve assicurare l’integrale pagamento dei rispettivi crediti:

  1. entro centoventi giorni dall’omologazione, in caso di crediti già scaduti a quella data;
  2. entro centoventi giorni dalla scadenza, in caso di crediti non ancora scaduti alla data dell’omologazione.

Come evidenziato nella relazione di accompagnamento del provvedimento con cui tale disposizione venne introdotta nella legge fallimentare, tramite le previsioni indicate sub a) e b) si è inteso stabilire “una moratoria legale di 120 giorni per il pagamento dei creditori estranei; in questo modo si intende consentire al debitore in crisi di poter beneficiare del c.d. scaduto fisiologico”. La sospensione ex lege dell’esigibilità dei crediti vantati dai creditorie estranei agli accordi di ristrutturazione è perciò volta a favorire gli interessi del debitore e, in particolare, a consentire il superamento della crisi[1]: in altri termini, il legislatore ha sì previsto l’obbligo di assicurare il pagamento per intero dei creditori rimasti estranei, ma al contempo ne ha imposto una moratoria legale, “che consiste tanto nell’inesigibilità dei crediti da essi vantati nei confronti dell’imprenditore in tale arco temporale, quanto nel divieto di intraprendere eventuali azioni esecutive e cautelari a danno dell’impresa”[2]. Del pari, è stato rilevato come la moratoria legale ponga il debitore “congruamente al riparo, lungo il predetto arco di tempo, dalle iniziative cautelari ed esecutive (incluse le istanze di fallimento) dei creditori non aderenti, spesso utilizzate per esercitare pressione sul debitore e ricavarne benefici individuali a scapito sia degli altri creditori che delle prospettive di continuità aziendale (e comunque della possibilità di evitare il fallimento)[3].

Peraltro, la disposizione testé citata fa testualmente riferimento (non ai crediti, bensì) ai creditori e segnatamente ai “creditori estranei”, vale a dire a quelli che non hanno aderito agli accordi di ristrutturazione. Infatti la ratio della regola dell’“integrale pagamento” è quella di assicurare la dovuta tutela al creditore che abbia rigettato la proposta di definizione dei propri crediti oppure che non abbia nemmeno ricevuto tale proposta, i cui crediti rimangono quindi esclusi dall’accordo di ristrutturazione. La formulazione dell’art. 182-bis, in sostanza, si fonda sulla distinzione tra creditori aderenti agli accordi di ristrutturazione dei debiti e creditori non aderenti (o “estranei”), poiché è solo nei confronti dei primi che acquistano efficacia le pattuizioni ivi convenute.

Il legislatore, nell’assumere tale suddivisione, ha evidentemente assunto che, come normalmente accade, il creditore aderente all’accordo di ristrutturazione, tramite tale atto, disciplini integralmente la propria posizione creditoria maturata nei confronti del debitore fino al momento della sottoscrizione dell’atto stesso. Ciò dovrebbe accadere anche per la transazione fiscale, come lasciano intendere le direttive della Divisione Contribuenti dell’Agenzia delle Entrate che richiedono il maggiore aggiornamento possibile dell’entità dei debiti erariali oggetto di certificazione; tuttavia si è dapprima riferito come l’aggiornamento richiesto spesso non sia in concreto effettuato né sia comunque completamente attuabile, con la conseguenza che, al momento della sottoscrizione dell’atto di transazione fiscale, il Fisco risulta titolare al contempo sia di crediti erariali il cui trattamento è regolamentato da tale accordo, sia di crediti erariali che giocoforza ne sono rimasti esclusi. In altri termini, si è in presenza di crediti che rimangono estranei agli accordi di ristrutturazione sebbene il titolare degli stessi (ovverosia l’Agenzia delle Entrate) vi abbia aderito.

Così stando le cose, in ordine al trattamento da riservare a questa particolare tipologia di crediti “tardivi” sono in astratto prospettabili tre diverse tesi:

  • una prima tesi, che considera automaticamente estese anche a tali crediti le previsioni della transazione fiscale;
  • una seconda tesi, in base alla quale sarebbe applicabile anche a tali crediti l’obbligo di pagamento integrale entro il termine di centoventi giorni stabilito dall’ultima parte del comma 1 dell’art. 182-bis;
  • una terza tesi, secondo cui non sarebbe applicabile relativamente a tali crediti il termine di pagamento previsto dalla predetta disposizione, restando essi soggetti alle regole ordinarie che disciplinano la riscossione delle imposte.

La prima tesi si scontra con il principio dell’autonomia contrattuale, atteso che le parti – seppur nei limiti consentiti dalla legge – possono liberamente determinare il contenuto dell’accordo dell’atto di transazione fiscale, nonché con il principio stabilito dall’art. 1362 c.c., considerato che la mancata inclusione – nell’atto di transazione fiscale – del regolamento di una porzione dei crediti tributari è da considerare come espressione della volontà delle parti di escluderli, seppur anche solo per ragioni tecniche, dall’accordo. In altri termini, se le parti (volontariamente o comunque per consapevole necessità) hanno escluso dal campo di applicazione della transazione alcuni tributi, l’estensione a questi ultimi del medesimo trattamento previsto per quelli oggetto dell’accordo sarebbe privo di alcun fondamento, in assenza di una previsione contrattuale che preveda, anche solo come norma di chiusura, tale estensione (previsione che peraltro il contribuente ha generalmente interesse a inserire nella proposta di transazione fiscale e quindi nell’accordo).

La tesi indicata sub 2) ha il pregio di estendere la moratoria legale, concessa dal legislatore al debitore, a tutti i crediti non disciplinati dagli accordi di ristrutturazione, indipendentemente dal titolare degli stessi; essa però stride con la lettera della norma, che testualmente riserva l’obbligo del pagamento integrale e della moratoria legale ai “creditori” che non hanno aderito agli accordi di ristrutturazione, posto che l’Agenzia delle Entrate aderisce a tali accordi. A questa considerazione si può peraltro obiettare che, al di là del dato testuale, per “creditori estranei” si possono ragionevolmente intendere i soggetti titolari di crediti esclusi dall’accordo di ristrutturazione, atteso che normalmente tali soggetti sono tout court “creditori estranei”; il che dovrebbe indurre a ritenere che la moratoria legale si applichi anche ai crediti tributari che non formano oggetto della transazione fiscale. Del resto l’estensione del beneficio della moratoria legale di centoventi giorni anche ai crediti non contemplati dall’accordo di ristrutturazione, sebbene questo sia stato sottoscritto anche dal soggetto che di tali crediti è titolare, appare maggiormente rispettosa della ratio agevolativa sottesa alla previsione di detto differimento temporale. Sarebbe infatti contraddittorio e assai illogico che al Fisco fosse consentito agire nei confronti del debitore per il recupero dei crediti rimasti esclusi dall’accordo di cui il piano di risanamento (sul quale l’accordo sottoscritto dall’Amministrazione finanziaria si fonda) preveda il pagamento oltre i centoventi giorni; così come sarebbe illogico imporre la moratoria al creditore che non ha avuto notizia della ristrutturazione o, avendola avuta, ha negato la propria adesione alla soluzione proposta, escludendola al tempo stesso per una parte dei crediti di cui è titolare un soggetto che ha aderito alla proposta formulatagli relativamente alla quasi totalità dei suoi crediti.

Questa conclusione non impedisce, tuttavia, che il soddisfacimento dei crediti tributari rimasti esclusi dalla transazione fiscale sia soggetto anche alla disciplina ordinariamente stabilita dal legislatore per la riscossione delle imposte; il che conduce – con riguardo a tali crediti – alla possibilità di applicare contestualmente a essi sia la seconda sia la terza delle tesi sopra indicate.

  1. Il controllo automatizzato degli adempimenti tributari e la rateizzazione dei versamenti dovuti sulla base della comunicazione di irregolarità

A tale proposito occorre rammentare che, con gli artt. 13 e 14 del D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, ai fini della riscossione delle imposte è stato introdotto il cosiddetto “controllo automatizzato” delle dichiarazioni fiscali, prevedendosi in particolare l’invio ai contribuenti di comunicazioni per rendere noto l’esito della liquidazione automatica dei maggiori tributi che si rendono dovuti sulla base di tali dichiarazioni.

Le norme che disciplinano tale controllo sono contenute negli artt. 36-bis e 36-ter del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (con riguardo rispettivamente a imposte sui redditi e ritenute alla fonte) e nell’art. 54-bis del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (relativamente all’IVA). In base a dette norme l’esito della liquidazione è notificato al contribuente o al sostituto di imposta attraverso la cosiddetta “comunicazione di irregolarità” (o “avviso bonario”), il cui scopo è sia quello evitare la reiterazione di errori, sia quello di consentire la regolarizzazione degli errori e degli inadempimenti compiuti, evitando le (altrimenti) conseguenti iscrizioni a ruolo.

Sulle somme che risultano dovute a seguito della liquidazione automatizzata si applica la sanzione del 30 per cento prevista dall’art. 13 del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, ma ai sensi dell’art. 2 del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 462 tale sanzione è ridotta ad un terzo (e quindi al 10%), qualora il contribuente provveda al pagamento della somma risultante dalla comunicazione di irregolarità entro trenta giorni dalla ricezione della stessa.

A quest’ultimo è peraltro consentito provvedere al pagamento di tale somma anche in forma dilazionata, ai sensi del citato art. 2 del D.Lgs. n. 462/1997, in un numero massimo di otto rate trimestrali di pari importo, ovvero, se l’ammontare dovuto è superiore a cinquemila euro, in un numero massimo di venti rate trimestrali di pari importo, provvedendo al versamento della prima rata comunque entro il termine di trenta giorni dalla ricezione della comunicazione di irregolarità; anche in caso di pagamento rateale compete al contribuente la medesima riduzione delle sanzioni sopra indicata (sull’importo delle rate successive sono inoltre dovuti gli interessi, calcolati dal primo giorno del secondo mese successivo a quello di elaborazione della comunicazione, ai sensi dell’art. 3-bis del medesimo D.Lgs. n. 462/1997). Giova aggiungere, in relazione al tema di cui trattasi, che la predetta dilazione costituisce un diritto del contribuente, cui essa spetta automaticamente, indipendentemente dalla sussistenza di alcun presupposto e senza la necessità di alcun provvedimento da parte dell’Agenzia delle Entrate.

Solo una volta trascorso inutilmente il suddetto termine di trenta giorni, le somme risultanti dalla comunicazione d’irregolarità possono essere iscritte a ruolo (con applicazione della sanzione nella misura piena) da parte dell’Amministrazione finanziaria, con conseguente notifica della relativa cartella di pagamento e avvio delle procedure di riscossione che ne derivano.

  1. Il necessario coordinamento tra l’art. 3-bis del D.Lgs. n. 462/1997 e l’art. 182-bis fall.

Sulla base delle disposizioni disciplinanti il controllo automatizzato e di quelle contenute nel D.Lgs. n. 462/1997, l’Amministrazione finanziaria, in presenza di inadempimento agli obblighi di versamento dei tributi, non può dunque esigere direttamente le somme dovutele ovvero procedere immediatamente alla loro riscossione coattiva, ma deve dapprima provvedere ad attuare il controllo automatizzato delle dichiarazioni annuali e/o periodiche presentate dal contribuente e a notificare a quest’ultimo l’esito di detta attività di controllo attraverso la comunicazione di irregolarità. Gli importi che risultano dovuti sulla base di tale comunicazione possono essere versati, a scelta insindacabile del contribuente, come si è già rilevato, per intero entro trenta giorni dalla notifica della stessa oppure – ai sensi dell’art. 3-bis del D.Lgs. n. 462/1997, in rate trimestrali, la prima delle quali scadente entro il medesimo termine di trenta giorni.

È in questo contesto normativo che occorre verificare se il pagamento integrale dei debiti maturati nelle more del procedimento di approvazione della transazione fiscale debba avvenire necessariamente entro centoventi giorni dall’omologazione degli accordi di ristrutturazione ai sensi del comma 1 dell’art. 182-bis oppure se esso possa comunque essere eseguito sulla base della rateizzazione prevista dall’art. 3-bis del D.Lgs. n. 462/1997, decorrente dal trentesimo giorno successivo a quello di notifica della comunicazione di irregolarità con cui sono formalmente rilevati gli inadempimenti concernenti il versamento delle imposte (la quale può intervenire anche molto tempo dopo l’inadempimento).

È da ritenersi che il coordinamento tra le due disposizioni vada risolto sia sulla base del criterio di specialità, che fa prevalere la disciplina fiscale, la quale ha a oggetto specificamente i debiti tributari, rispetto a quella recata dalla legge fallimentare, che riguarda tutti i debiti, sia alla luce della ratio che sorregge la moratoria legale prevista dall’art. 182-bis, comma 1, consistente – come dapprima riferito – nel favorire l’attuazione del piano di risanamento attraverso il differimento di centoventi giorni dell’obbligo di pagamento gravante sul debitore. Orbene, posto che la suddetta moratoria risponde allo scopo di impedire al creditore sia di esigere il pagamento dei propri crediti prima del decorso del predetto termine di centoventi giorni, sia di intraprendere azioni esecutive e cautelari a danno dell’impresa, il termine “crediti già scaduti” presente nella norma da ultimo citata va riferito ai crediti per i quali, alla data di omologazione dell’accordo di ristrutturazione, il creditore può già avviare le procedure ordinarie di riscossione. Pertanto, relativamente ai crediti erariali, è solo con riguardo a quelli di essi per i quali è già legittimamente azionabile la procedura di riscossione coattiva che ha senso (per favorire l’esito positivo della procedura di risanamento) sospenderne il pagamento, mentre non ne ha alcuno relativamente ai crediti per i quali l’esito del controllo automatizzato non è stato ancora notificato e che quindi non possono essere ancora esatti – ex lege – dall’Amministrazione finanziaria, fintantoché non sia inutilmente spirato il termine di trenta giorni dalla notifica della comunicazione di irregolarità.

La diversa soluzione secondo cui l’art. 182-bis dovrebbe applicarsi in deroga all’art. 3-bis del D.Lgs. n. 462/1997, imponendo il pagamento dei debiti di cui trattasi entro il termine di centoventi giorni ivi previsto, sarebbe inoltre illogica e del tutto asistematica, perché trasformerebbe la previsione della moratoria legale – che, come si è osservato, è stata introdotta per favorire il debitore – in una  penalizzazione per quest’ultimo, considerato che –  ai fini del pagamento dei debiti tributari rimasti esclusi dalla transazione – il debitore finirebbe per disporre di un termine notevolmente inferiore a quello di cui disporrebbe in assenza dell’accordo di ristrutturazione; e ciò nonostante il fatto che l’esclusione di tali debiti dall’accordo stipulato con l’Agenzia delle Entrate dipenda, non dalla volontà del debitore, ma da ragioni puramente tecniche attinenti il più delle volte l’aggiornamento della situazione da parte dell’Amministrazione finanziaria, cioè dello stesso ente creditore.

Vi è infine da considerare un ulteriore (e, a seconda dei casi, probabilmente decisivo) elemento, desumibile dal piano di risanamento su cui è fondato l’accordo di ristrutturazione dei debiti nel suo complesso e dunque anche l’atto di transazione fiscale sottoscritto dall’Agenzia delle Entrate. Infatti, se il piano prevede il pagamento dei debiti tributari di cui trattasi oltre il menzionato termine di centoventi giorni, mediante la dilazione quinquennale automaticamente consentita dalle disposizioni tributarie che disciplinano la riscossione dei tributi (decorrente dal trentesimo giorno successivo a quello di notifica delle relative comunicazioni di irregolarità), pare difficile non rinvenire nell’approvazione – da parte dell’Agenzia delle Entrate – della transazione fiscale fondata su tale piano anche una implicita approvazione della dilazione di pagamento dei debiti tributari “tardivi” prevista nel piano stesso (approvazione – si badi bene – che non ha rilievo, in quanto non necessaria, ai fini del diritto del debitore di fruire della dilazione, ma ne ha per escludere l’obbligo di pagare i debiti di cui trattasi entro centoventi giorni dalla omologazione, essendo tale termine inconciliabile con il piano di risanamento che il Fisco ha esaminato, ritenendolo affidabile e atto a rendere possibili gli adempimenti discendenti dalla transazione fiscale, il quale il più delle volte non sarebbe attuabile in presenza di un utilizzo dei flussi finanziari diverso da quello stabilito nel piano e quindi nel caso in cui la dilazione ivi prevista venisse meno). Il rinvenire nell’atto di transazione fiscale un’implicita approvazione – da parte dell’Agenzia delle Entrate – della dilazione di pagamento prevista dal piano è del resto conforme all’interpretazione di tale atto secondo il principio di buona fede di cui all’art. 1366 c.c. e consente di superare sotto ogni profilo l’antinomia di cui si è detto, per quel che può rilevare, tra la nozione du “creditore aderente” e quella di “credito per il quale è stata espressa adesione”. Infatti, sulla base del criterio interpretativo testé esposto, l’Amministrazione finanziaria non è da considerare “aderente” relativamente ai crediti tributari oggetto della transazione fiscale e “non aderente” relativamente a quelli che ne sono rimasti esclusi, ma aderente in toto: quanto ai primi, attraverso la sottoscrizione dell’atto di transazione e, quanto ai secondi, mediante l’approvazione implicita della dilazione del loro pagamento, discendente dall’approvazione di una proposta  fondata su un piano di cui tale dilazione costituisce una delle fondamentali assunzioni.

Non consta che su questo tema si sia formato un indirizzo giurisprudenziale; il Tribunale di Lecce, con il decreto 3 giugno 2014, confermando – sebbene con riguardo a un caso in cui la proposta di transazione fiscale era stata rigettata – i principi sopra esposti, ha peraltro affermato al riguardo che “in sede di accordi di ristrutturazione, i crediti dell’Erario rimasti estranei all’accordo non debbono essere estinti nel termine di centoventi giorni dall’omologa, in virtù del rapporto di specialità esistente tra l’art. 182-bis l. fall. e le norme che consentono a qualunque contribuente, in caso di crisi economica conclamata, di beneficiare della rateizzazione”. Il riferimento alla “crisi conclamata” presente nel decreto è dovuto al fatto che il Tribunale di Lecce si è pronunciato con riferimento alla dilazione di cui all’art. 19 del D.P.R. n. 602/1973, ai sensi del quale l’agente della riscossione, su richiesta del contribuente che dichiara di versare in temporanea situazione di obiettiva difficoltà, concede la ripartizione del pagamento delle somme iscritte a ruolo fino a un massimo di settantadue rate mensili. Si tratta quindi di una dilazione – diversa da quella discendente dal ricevimento delle comunicazioni di irregolarità sopra considerate – prevista solo a seguito della notifica di cartelle recanti l’iscrizione a ruolo di crediti tributari rimasti insoluti nonostante le comunicazioni di irregolarità precedentemente inviate al contribuente, la quale non compete automaticamente, al contrario di quella conseguente alle comunicazioni di irregolarità, in quanto presuppone la sussistenza di una situazione di temporanea difficoltà, non richiesta ai fini della spettanza della dilazione di pagamento delle somme oggetto delle comunicazioni di irregolarità. Il Tribunale di Lecce ha pertanto ritenuto superabile la previsione concernente il pagamento nei centoventi giorni dalla omologazione disposta dall’art. 182-bis, in considerazione del diritto del debitore di usufruire di una forma dilazionata di pagamento dei debiti di cui trattasi, ancorché tale dilazione non sia di per sé automaticamente certa, essendo condizionata al rispetto di alcuni parametri che attestino la “temporanea situazione di obiettiva difficoltà” richiesta dal citato art. 19. Il diritto a tale forma di dilazione in presenza di un accordo di ristrutturazione dei debiti è peraltro contestato (seppur senza fondamento, ad avviso di chi scrive, per le medesime ragioni sopra rappresentate) dall’Agenzia delle Entrate-Riscossione ed è conseguentemente contrastata, sul piano operativo, la possibilità di superare – in tal caso – il citato disposto dell’art. 182-bis; il diritto alla dilazione di pagamento conseguente al ricevimento delle comunicazioni di irregolarità, come si è più volte rilevato, compete invece automaticamente e il predetto disposto è quindi – in questa diversa fattispecie – da considerare in ogni caso superato per i motivi esposti.

 

[1]  Nell’imposizione ai creditori estranei di una moratoria legale sono stati ravvisati possibili profili di incostituzionalità da parte di F. Lamanna, “Il c.d. Decreto Sviluppo: primo commento sulle novità in materia concorsuale”, in www.il fallimentarista, 26 giugno 2012, pag. 14.

[2]  Così L. Luchetti, “Accordi di ristrutturazione, piani di risanamento e finanziamenti alle imprese in crisi”, in Fallimento, soluzioni negoziate della crisi e disciplina bancaria (diretta da S. Ambrosini), 2017, pag. 691.

[3]  Così S. Ambrosini, “Gli accordi di ristrutturazione dei debiti dopo la riforma del 2012”, in il fallimento e le altre procedure concorsuali, n. 10/2012, pag. 1140.