La Corte d’appello di Roma nega l’omologazione forzosa se non ci sono altri accordi; ,a il Dl 69/2023 che ha chiarito la portata dell’istituto non richiede la pluralità

di Giulio Andreani

La Corte di appello di Roma, con decreto n. 2304/2024 del 27 febbraio 2024, ha sposato l’indirizzo giurisprudenziale secondo cui, nell’ambito dell’accordo di ristrutturazione dei debiti disciplinato dall’articolo 57 del Codice della crisi, l’omologazione forzosa della transazione fiscale da parte del tribunale non può essere disposta se la transazione costituisce l’unico accordo di ristrutturazione proposto ai creditori ed è stata rigettata dall’Amministrazione finanziaria.

Le ragioni del no

I motivi su cui la Corte ha fondato il proprio provvedimento, che riguarda peraltro solo la omologazione forzosa e non quella ordinaria, che viene richiesta a seguito dell’approvazione della proposta, sono in sintesi i seguenti:
O l’articolo 182-bis della legge fallimentare prevedeva, ai fini della omologazione, il “deposito” e la pubblicazione nel Registro delle imprese di un accordo, così come l’articolo 40 del Codice della crisi prevede attualmente il deposito “degli accordi”. Pertanto, ove un’intesa non sia stata raggiunta con l’unico creditore a cui è stata proposta o comunque nessuna intesa sia stata conclusa con altri creditori nonostante sia stata loro prospettata, un accordo non è giuridicamente esistente e conseguentemente non può essere depositato e pubblicato: non sussiste dunque alcun accordo che possa essere omologato. Oggetto della domanda di omologazione non sarebbe in tal caso un “accordo” ma, attraverso il meccanismo del cram down, una «proposta di transazione fiscale non approvata» e ciò secondo la corte è inammissibile;
O occorre inoltre considerare, sotto il profilo letterale, che l’articolo 40 del Codice, come peraltro la rubrica del citato articolo 182-bis, utilizza il plurale (“accordi”) e pertanto l’omologazione presupporrebbe necessariamente l’esistenza di una pluralità di intese con i creditori.

Le criticità

Il primo argomento non è convincente, perché, potendo il cram down essere disposto solo in assenza dell’adesione del Fisco, è evidente che esso non può presupporre la precedente stipula di un accordo con l’Amministrazione finanziaria, che renderebbe peraltro superfluo lo stesso cram down, e affermare che l’omologazione forzosa richiede l’esistenza di più accordi significa introdurre una previsione che le legge non prevede.
È inoltre evidente che il riferimento al dato letterale presente nell’articolo 40 del Codice sovraccarica di significato l’uso del plurale “accordi”, poiché il legislatore ha fatto riferimento alla fattispecie ordinaria dell’accordo di ristrutturazione, in cui normalmente intervengono più creditori; ciò di per sé non esclude tuttavia che possa essere stipulato un solo accordo quando un soggetto è sostanzialmente titolare dell’intero credito. Sarebbe stato quindi assai illogico che il legislatore avesse utilizzato il singolare “accordo”. Anche il secondo argomento utilizzato dalla Corte di appello appare quindi insufficiente per escludere il cram down quando il Fisco è l’unico creditore a cui è stato proposto un accordo.

Il rischio di abuso dell’istituto

Il vero tema è quello dell’abuso dell’istituto ed è probabile che quando l’agenzia delle Entrate è di fatto l’unico creditore a cui viene richiesto di ristrutturare il debito possa sussistere un abuso, se per più anni,
mentre il versamento delle imposte è stato sistematicamente omesso incrementando i debiti fiscali, gli atri creditori sono stati invece pagati.
Tuttavia, il legislatore si è fatto carico di disciplinare tale fattispecie con l’articolo 1-bis del Dl 69/2023, stabilendo che quando l’adesione dei creditori diversi dalle agenzie fiscali e dagli istituti previdenziali ha ad oggetto crediti di importo inferiore al 25% dell’intera esposizione debitoria, ovvero non vi è alcuna adesione da parte di tali(altri) creditori, l’omologazione forzosa della transazione fiscale può essere disposta solo se il soddisfacimento dei crediti tributari e previdenziali non è inferiore al 40% del debito e la dilazione di pagamento non eccede i dieci anni. Significa, però, che il cram down può essere disposto dal tribunale anche se la transazione fiscale proposta al Fisco costituisce l’unico accordo prospettato ai creditori (oppure anche se questi non hanno approvato alcuno degli accordi proposti loro).
L’articolo 1-bis dovrebbe quindi superare le incertezze interpretative emerse anteriormente alla sua entrata in vigore, sulle quali si è pronunciata la Corte di appello di Roma con il decreto del 27 febbraio 2024. Questo provvedimento è stato peraltro emesso con riguardo a una proposta di transazione a cui tale norma non si applicava, essendo stata essa presentata anteriormente all’entrata in vigore della suddetta disposizione.
Per il futuro la disciplina dovrebbe essere chiara, poiché il legislatore ha stabilito con precisione quando la proposta è abusiva e, per contro, quando non lo è.

15 aprile 2024