di Giulio Andreani

Il comma 18 dell’art. 3 del D.L. n. 119/2018 stabilisce testualmente quanto segue: “Alle somme occorrenti per aderire alla definizione di cui al comma 1, che sono oggetto di procedura concorsuale, nonché in tutte le procedure di composizione negoziale della crisi d’impresa previste dal regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, si applica la disciplina dei crediti prededucibili di cui agli articoli 111 e 111-bis del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267”. Quali effetti produce tale disposizione sulla redazione e sull’attestazione dei piani di risanamento nell’ambito degli accordi di ristrutturazione disciplinati dall’art. 182-bis della legge fallimentare? Significa, come qualcuno dubita, che le predette somme devono essere corrisposte all’Erario prima di pagare gli altri creditori?

L’art. 111, citato dalla norma di cui trattasi, detta, al comma 1, l’ordine di distribuzione tra i vari creditori delle somme ricavate dalla liquidazione dell’attivo fallimentare (così integrando il dettato degli artt. 2777 ss. del codice civile) e, al comma 2, fornisce la definizione di “crediti prededucibili”, mentre al successivo art. 111-bis ne disciplina le modalità di accertamento e di soddisfazione nella procedura del fallimento.

In particolare, l’art. 111, nel distinguere tra crediti prededucibili, crediti privilegiati e crediti chirografari (da soddisfare nel suddetto ordine), precisa che si considerano nella prima categoria:

  • i crediti espressamente qualificati come prededucibili da una specifica disposizione di legge;
  • i crediti sorti in occasione o in funzione delle procedure concorsuali.

I crediti prededucibili sub 1) sono sia quelli così testualmente definiti da una disposizione di legge, sia quelli per il cui trattamento la disposizione di legge fa espresso rinvio all’art. 111 l.f. (quest’ultima è la tecnica più frequentemente utilizzata dal legislatore)[1]. La natura prededucibile dei crediti sub 2, invece, discende dallo speciale rapporto sussistente tra la loro genesi e la procedura concorsuale.

Poiché il citato art. 111 stabilisce che i crediti prededucibili “sono soddisfatti con preferenza ai sensi del primo comma n. 1)” in sede di distribuzione delle somme ricavate dalla liquidazione dell’attivo nel corso della procedura fallimentare, la prededuzione rappresenta una modalità di pagamento del credito, in forza della quale, allo scopo di assicurarne il prioritario ed integrale soddisfacimento, agli organi della procedura è imposto di utilizzare a tale fine le somme disponibili prima di ogni altro impiego[2]. Il carattere prededucibile di un credito, che non può discendere dalla volontà del creditore ma è stabilito ex lege, è dunque strettamente correlato alla procedura fallimentare e perde rilievo alla chiusura della stessa, trattandosi di una qualificazione processuale[3]. Esso rileva inoltre nell’ambito della procedura di concordato preventivo e, comunque, in tutti i casi di concorso tra creditori.

La natura giuridica degli accordi di ristrutturazione dei debiti e la regola del concorso

Gli accordi di ristrutturazione omologati ai sensi dell’art. 182-bis l.f. consistono in un contratto (regolamentato in buona parte da norme di diritto privato) concluso tra il debitore e uno o più dei suoi creditori (che rappresentino una certa aliquota della complessiva esposizione del debitore), incentrato non sul principio maggioritario, ma su quello del consenso delle parti contraenti. Nella conclusione di tali accordi la legge non richiede il rispetto del principio della parità di trattamento dei creditori sancita dall’art. 2740 c.c. (par condicio creditorum), venendo il debitore lasciato libero di concordare con essi (quindi con il loro consenso) trattamenti del tutto diversi: in sostanza, negli accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis l.f. le regole del concorso, relativamente ai creditori aderenti, diventano quelle in essi pattuite.

Questa conclusione non è ostacolata dalla tesi secondo cui, contrariamente a quanto sostenuto da una opposta scuola di pensiero, gli accordi di cui trattasi rappresenterebbero una forma semplificata di concordato preventivo, poiché consentono di giungere per saltum all’omologazione dell’accordo stesso, evitando al tribunale di svolgere l’iniziale attività di verifica delle condizioni di ammissione alla procedura ed ai creditori di esprimere il proprio voto; ciò in quanto sia il concordato preventivo sia gli accordi disciplinati dall’art. 182-bis perseguono il medesimo scopo di ristrutturare i debiti, pur con la differenza che nell’ipotesi di cui all’art. 160 la proposta di accordo è presentata dal debitore al tribunale (che è chiamato a intervenire prima che si esprimano i creditori), mentre nell’ipotesi di cui all’art. 182-bis l’intesa tra debitore e creditori precede l’intervento del tribunale, cui è demandata solo la omologazione dell’accordo. Una tale ricostruzione troverebbe inoltre conferma nella scarna codificazione che il legislatore ha conferito all’istituto, rinviando – per quanto non espressamente e diversamente stabilito – alle disposizioni vigenti in materia di concordato preventivo.

Questa tesi è stata recentemente confermata dalla Corte di cassazione con una serie di pronunce[4]. In particolare, con la sentenza n. 16347 del 21 giugno 2018, i giudici di legittimità si sono testualmente espressi come segue: “l’accordo di ristrutturazione dei debiti di cui alla L. Fall., art. 182-bis, appartiene agli istituti del diritto concorsuale, come è dato desumere dalla sua disciplina che presuppone, da un lato, forme di controllo e di pubblicità sulla composizione negoziata (in punto di condizioni di ammissibilità, deposito presso il tribunale competente, pubblicazione al registro delle imprese e necessità di omologazione) e, dall’altro, effetti protettivi (quali i meccanismi di protezione temporanea e l’esonero dalla revocabilità di atti, pagamenti e garanzie posti in essere in sua esecuzione), tipici dei procedimenti concorsuali (cfr Cass. n. 1182-18, Cass. n. 1896-18). … L’art. 2 del Regolamento (UE) 2015/848 stabilisce che è ‘procedura concorsuale’ quella che comprende tutti o una parte significativa dei creditori di un debitore a condizione che, nel secondo caso, la procedura non pregiudichi i crediti dei creditori non interessati dalla procedura[5].

Tuttavia, anche la tesi che afferma il carattere concorsuale degli accordi de quibus riconosce pacificamente che essi non richiedono il rispetto delle ordinarie regole del concorso tra creditori. Infatti, i giudici di legittimità hanno rilevato che il concetto di procedura concorsuale va interpretato in chiave “moderna”, ovverosia alla luce dell’evoluzione legislativa (nazionale ed europea), per effetto della quale i caratteri distintivi della procedura concorsuale sono ormai riconducibili “a tre profili minimali: – i) una qualsivoglia forma di interlocuzione con l’autorità giudiziaria, con finalità quantomeno ‘protettive’ (nella fase iniziale) e di controllo (nella fase conclusiva); ii) il coinvolgimento formale di tutti i creditori, quantomeno a livello informativo e fosse anche solo per attribuire ad alcuni di essi un ruolo di ‘estranei’, da cui scaturiscono conseguenze giuridicamente predeterminate; iii) una qualche forma di pubblicità[6].

Nonostante il consolidarsi in giurisprudenza della tesi che attribuisce natura concorsuale all’istituto degli accordi di ristrutturazione dei debiti omologati ai sensi dell’art. 182-bis l.f., è comunque pacifico che la presenza di crediti prededucibili non impone di per sé al debitore la loro integrale e prioritaria soddisfazione rispetto agli altri crediti, non sussistendo l’obbligo – in questa particolare procedura – di applicare le ordinarie regole del concorso tra creditori (tanto da far perdere rilevanza perfino alla suddivisione tra crediti privilegiati e crediti chirografari), né di seguire l’ordine stabilito dall’art. 111 l.f.[7]. Non è infatti, secondo la stessa Corte di cassazione, l’applicazione o meno della regola codicistica della graduazione dei crediti che contraddistingue una procedura concorsuale.

Il trattamento da riservare ai crediti prededucibili negli accordi di ristrutturazione dei debiti

Atteso che negli accordi di ristrutturazione non è dunque concepibile una prededucibilità in senso tecnico (risultando ininfluente questo particolare status)[8], la disposizione contenuta nel comma 18 dell’art. 3 del D.L. n. 119/2018 non può essere interpretata nel senso che le somme occorrenti per il perfezionamento della rottamazione ter sono – nell’ambito di detta procedura concorsuale – necessariamente da pagare per intero prima di procedere al pagamento di tutti gli altri crediti. Infatti, posto che la disciplina di tali accordi non impone di attendere la soddisfazione integrale dei crediti per loro natura prededucibili prima di poter soddisfare tutti gli altri crediti, un tale obbligo non può sussistere nemmeno con riguardo ai crediti oggetto della rottamazione ter.

A ben vedere, invece, sussistono buoni motivi per ritenere che gli effetti discendenti dalla equiparazione dei suddetti crediti a quelli prededucibili sono gli stessi che si producono con riguardo ad altre tipologie di crediti di per sé privi di prelazione e che, in virtù di un’apposita disposizione, in specifiche situazioni assumono natura di crediti prededucibili. Ci si riferisce in particolare:

  1. ai crediti per finanziamenti effettuati da banche o da intermediari finanziari in esecuzione di un concordato preventivo o di un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato, che l’art. 182-quater, comma 1, l.f. qualifica, appunto, come crediti prededucibili;
  2. ai crediti per finanziamenti effettuati dai soci in esecuzione di un concordato preventivo o di un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato, che l’art. 182-quinquies, comma 1, l.f. qualifica del pari come crediti prededucibili;
  3. al credito spettante al professionista incaricato di attestare la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano di concordato preventivo o l’attuabilità dell’accordo di ristrutturazione dei debiti omologato, purché la prededuzione sia espressamente disposta dal tribunale (previsto dal comma 4 dell’art. 182-quater, poi peraltro abrogato dall’art. 33, comma 1, lett. e-bis), del D.L. 22 giugno 2012, n. 83).

Come evidenziato in dottrina, il motivo per cui ai suddetti crediti è stata espressamente riconosciuta la prededuzione è il seguente: un processo di ristrutturazione dei debiti richiede normalmente l’apporto di “nuova finanza”, ma chi è chiamato a erogarla difficilmente trova soddisfazione in caso di successivo fallimento dell’impresa debitrice (venendo il suo credito collocato tra i chirografari), sicché, al fine di incentivare tali interventi finanziari e così porre le condizioni per il risanamento di quest’ultima, viene ad essi accordata la qualifica di crediti prededucibili, in modo da assicurarne la soddisfazione prioritaria qualora dovesse verificarsi una tale eventualità[9]. In proposito, dottrina e giurisprudenza sono pacificamente concordi nel ritenere che la citata qualifica non comporta l’obbligo, nell’ambito degli accordi di ristrutturazione, di soddisfare prioritariamente e in maniera integrale i crediti disciplinati dagli artt. 182-quater e 182-quinquies l.f.; del resto, risulterebbe impossibile e paradossale assicurare a tali crediti la prededuzione per incentivare il finanziamento della società debitrice e, al contempo, imporne la restituzione integrale prima di poter procedere al pagamento degli altri crediti. Con riguardo agli accordi di cui trattasi, del resto, la legge impone di provvedere alla integrale soddisfazione, in ragione delle originarie scadenze, per di più posticipate di centoventi giorni, dei soli crediti, non scaduti alla data della omologazione, rimasti estranei all’accordo. La prededuzione accordata ai crediti di cui agli artt. 182-quater e 182-quinquies alle condizioni ivi stabilite, quindi, è destinata ad assumere concreta rilevanza laddove l’esecuzione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti non dovesse consentire l’effettivo risanamento dell’impresa debitrice e questa si vedesse costretta ad accedere alla procedura di concordato preventivo o, addirittura, a quella fallimentare.

Il medesimo principio è applicabile con riguardo ai crediti oggetto di definizione agevolata ai sensi dell’art. 3 del D.L. n. 119/2018: la finalità della disposizione contenuta nel comma 18 è quindi quella di rendere legittimo (in caso di eventuale fallimento dell’impresa debitrice o di ricorso al concordato preventivo) l’utilizzo delle disponibilità liquide in via prioritaria per il pagamento delle somme ancora dovute ai sensi del citato art. 3 (nel rispetto delle modalità e dei termini previsti), in modo da permettere all’impresa debitrice il perfezionamento della procedura agevolata e beneficiare così dell’azzeramento di sanzioni e interessi di mora. In assenza di una disposizione di tale tenore, infatti, le risorse finanziarie di quest’ultima potrebbero non essere destinabili a detti pagamenti. In altri termini, la ratio della disposizione in esame è quella, da un lato, di evitare che l’assoggettamento dell’impresa a una procedura concorsuale possa impedire il perfezionamento della definizione agevolata e, dall’altro, di garantire le ragioni erariali.

Sarebbe del resto contraddittorio che la legge prevedesse la possibilità di pagare ratealmente nell’arco di cinque anni le somme dovute in dipendenza della definizione agevolata e ne imponesse, al tempo stesso, il pagamento prima degli altri creditori, inclusi quelli che attraverso le loro forniture di beni e servizi consentono la prosecuzione dell’attività d’impresa (i quali concedono nella migliore delle ipotesi solo le ordinarie dilazioni commerciali e non possono certamente attendere cinque anni per vedere soddisfatti i propri crediti correnti), o anche solo un accantonamento in forma reale e non solo contabile di un importo corrispondente, il che sarebbe sostanzialmente equivalente a imporne il pagamento immediato.

Ulteriore scopo della disposizione contenuta nel comma 18 è, non a caso, quello di consentire il pagamento delle somme ancora dovute ai fini della definizione agevolata, alle relative scadenze, ai sensi del comma 4 dell’art. 111-bis l.f., vale a dire al di fuori del procedimento di riparto, trattandosi – con riferimento a quelli maturati a ogni singola scadenza – di crediti liquidi, esigibili e non contestati.

Il rispetto del precetto sancito dal più volte citato comma 18 richiede peraltro la presenza di un prerequisito, rappresentato dall’idoneità del piano di risanamento a generare i flussi finanziari necessari per addivenire al regolare pagamento dei debiti erariali oggetto di rottamazione, secondo le scadenze discendenti dal numero di rate prescelto. Infatti, se i flussi finanziari previsti nel piano non fossero in grado di rispettare le suddette scadenze, la definizione agevolata non potrebbe perfezionarsi, venendo così meno il risparmio di oneri tributari ivi pure previsto. Ma si tratta, a ben vedere, di un prerequisito che è necessario, ai fini dell’attuabilità del piano, indipendentemente dalla prededucibilità attribuita dal più volte citato comma 18 alle somme destinate al pagamento dei debiti discendenti dalla definizione agevolata.

 


 

[1] Cfr. C. Miele, Commento sub art. 111, in La Legge fallimentare – Commentario teorico-pratico (a cura di M. Ferro), 2011, pag. 1319.

[2] Cfr. A. Maffei Alberti, Commentario breve alla legge fallimentare, 2009, pag. 502.

[3] Come ben evidenziato da R. Vivaldi (La ripartizione dell’attivo, in Trattato delle procedure concorsuali (diretto da L. Ghia, C. Piccinini, F. Severini), III, 2010, pag. 270), il concetto di prededuzione “deve essere tenuto distinto rispetto a quello di prelazione. Infatti, mentre quest’ultima rappresenta una qualifica di natura sostanziale, che caratterizza il credito e lo rende preferibile rispetto a tutti gli altri crediti, definiti chirografari, la prima costituisce, invece, una qualifica di natura procedurale, che attribuisce ad un creditore il diritto di essere pagato con precedenza rispetto a qualunque altro creditore che partecipa al concorso, anche se privilegiato”.

[4] Cfr. Cass., 18 gennaio 2018, n. 1182; 12 aprile 2018, n. 9087; 21 giugno 2018, n. 16347; 24 maggio 2018, n. 12965.

[5]In senso contrario sembrerebbe essersi però orientato il legislatore nel formulare il codice della crisi d’impresa con il D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, avendo classificato gli accordi di ristrutturazione dei debiti nel Titolo IV, rubricato “Strumenti di regolazione della crisi d’impresa, anziché nel Titolo III, intitolato “Procedure di regolazione della crisi d’insolvenza”.

[6]Così testualmente Cass., 12 aprile 2018, n. 9087.

[7] Cfr. M. Ferro, Commento sub art. 182-bis, in La Legge fallimentare – Commentario teorico-pratico (a cura di M. Ferro), 2011, pag. 2125.

[8] Così M. Ferro – F. S. Filocamo, Commento sub art. 182-quater, in La Legge fallimentare – Commentario teorico-pratico (a cura di M. Ferro), 2011, pag. 2185.

[9] Cfr. ex multis, M. Ferro – F. S. Filocamo, cit., pag. 2183; S. De Matteis, Commento sub art. 111, in Codice commentato del fallimento, (diretto da G. Lo Cascio), 2017, pag. 1547; N. Cosentino, “I crediti prededucibili nel concordato preventivo”, in Il diritto degli affari.it, 2014, pagg. 1 e 2.